Intervista a don Edoardo
Nei giorni seguenti la sua ordinazione e la sua prima Messa, incontro don Edoardo Mariotti, sacerdote novello proveniente dalla nostra Diocesi, per noi un amico carissimo, la cui vita abbiamo visto trasfigurarsi.- Autore:
Don Edoardo mi guarda da dietro gli occhiali con occhi da bambino, vivissimi, dai quali è scomparsa ogni traccia di timidezza. Mentre racconta di sé, mi scopro a pensare alla prima volta che lo incontrai, con la mia comunità, nel lontano 2008. Ricordo un ragazzino timido e un poco impacciato nel parlare, ma con un sorriso aperto e generoso che già tradiva i segni della chiamata. In quel momento Edoardo aveva appena iniziato, proprio a Pietrarubbia presso una comunità di benedettini, il suo percorso vocazionale.
I frati Cappuccini, tanto amati da lui e dalla sua famiglia, come da tutti i fedeli di Pietrarubbia e Ponte Cappuccini, erano andati via da un anno e pareva davvero la fine di un’epoca. Benché avesse pensato di farsi cappuccino, l'arrivo di quella nuova comunità fu per Edoardo un dono, il dono di una chiamata più vivida, più certa. Nel rievocare quei momenti il suo sorriso aperto e comunicativo si incrina un poco come sotto la forza della commozione. Tante persone, che ora non sono più, come la nonna, tanti frati che hanno già raggiunto il cielo, sono state strumento a che Edoardo scoprisse la sua chiamata. Altri sono qui, nel folto gruppo di amici e parenti che lo accompagnano in questa prima Messa, vissuta nel suo luogo natale. Anche i genitori, Patrizia e Giuseppe, con il loro esempio e il loro sostegno nei momenti difficili sono stati per lui un aiuto prezioso. Gli occhi si illuminano quando parla di Filippo, suo fratello, tanto diverso da lui, ma indispensabile per la sua crescita umana e spirituale.
Dalla comunità benedettina, che per varie ragioni lascia la diocesi e s’insedia nelle vicinanze di Gubbio, ecco che matura in Edoardo il desiderio di entrare in un seminario diocesano. Il leit motive di questo percorso umano e spirituale resta la liturgia, dove la Chiesa è davvero Madre e Maestra. «Ho sempre amato molto la liturgia -racconta- fin da bambino quando, facendo il chierichetto con i frati, dovevo stare attento al momento e al modo in cui suonare il campanello. Negli anni l'ho approfondita assaporandone la ricchezza e la forza spirituale capace di forgiare la vita. Gli anni del seminario nella diocesi di Gubbio e Umbertide sono stati belli e importanti, mi hanno aiutato a maturare e a crescere nella consapevolezza di ciò che stavo scegliendo».
Sembrano frasi fatte, ma chi ha conosciuto il ragazzino Edoardo sa che è vero. Don Edoardo è ancora quello stesso bambino nell'aria fanciullesca, ma è diventato uomo nella padronanza del linguaggio, nella semplicità comunicativa della sua predicazione, nella sicurezza con cui si muove sull'altare, tanto da farlo sembrare non un pretino in erba alle prese con la sua prima messa, ma un prete navigato e maturo, tutto preso dal mistero che celebra. «Ho avuto un'altra grande fortuna: non sono stato mai solo. Ho sempre vissuto la fraternità sacerdotale ed è stata per me un dono grande per mantenermi saldo nel cammino». Parlare con lui è bello, ma è tardi ed è tempo di lasciarsi. Non può alla fine omettere di ringraziare tutti, ringrazia anche noi monache per il conforto della preghiera che ha trovato, ogni volta che rientrava dal Seminario; ci ringrazia per essere qui a continuare una storia gloriosa di preghiera e di vita cristiana. Ci ringrazia di averlo sostenuto con un ricordo costante davanti al Santissimo. È vero, abbiamo pregato molto per lui e non mi par vero ora, vederlo trasfigurato nella sua dignità sacerdotale. Si allontana a passo svelto: sì, don Edoardo indossa la talare, ma non ha nulla di ammuffito o di clericale, ha lo slancio della gioia di chi ha scelto Dio come suo tutto e lo segue. La sua talare è bella, aggiunge un tocco in più a quell'aria sbarazzina e fresca che lo accompagna. Don Edoardo è anche una fonte di unità per questa parrocchia che soffre della sua geografia così dispersiva tra la valle (Lago del Conte), le pendici del monte (Mercato Vecchio) e un ponte (Ponte Cappuccini), tutti lo stimano e lo amano ed egli ricambia gioiosamente l’affetto. Lo si è colto dai saluti finali della Messa in una chiesa, quella di Mercato Vecchio, così gremita da stupire anche il Vescovo. A stento si è riusciti a trattenere le lacrime. Lo saluto da lontano: allarga il cuore vedere che Dio chiama ancora e che giovani belli e pieni di gratitudine per la loro storia saranno i pastori di anime, le quali, forse, questo gusto del vivere hanno perduto.