Le parole del Papa nella mia vita

Sonia ci racconta la grazia che fu, per lei, l'incontro con le parole di Papa Benedetto, nel lontano 2005: un pezzo di vita da leggere in ginocchio.
Autore:
Bagotta, Sonia
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Cari fratelli e sorelle,
dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore.
Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere.
Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente, andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà e Maria sua Santissima Madre starà dalla nostra parte. Grazie.
(Benedizione Apostolica "URBI ET ORBI", primo saluto di Sua Santità Benedetto XVI, Loggia centrale della Basilica Vaticana, Martedì, 19 aprile 2005).

Con queste parole Sua Santità Benedetto XVI rivolge il suo primo saluto al popolo cristiano, è il nuovo successore di Pietro e come ricorda lui stesso succede ad un grande Papa in un momento storicamente delicato per la Chiesa e per l’intera umanità. Un impegno complicato il suo che richiede fermezza, fiducia nel Signore che lo ha scelto, e infinita misericordia per i fedeli e non di questo tempo.
È l’11 febbraio, la liturgia fin dall’ufficio del mattutino ci ricorda che in questa giornata si fa memoria della Madonna di Lourdes.
(L’11 febbraio 1858, Maria si manifestò come «l’Immacolata» a Bernardetta Soubirous nella grotta di Massabielle negli alti Pirenei, per ben 18 volte fino al 16 luglio.
Il perenne «miracolo» di Lourdes è l’Eucaristia. Al di là del «fenomeno» religioso rimangono gli effetti del messaggio fondamentale del Vangelo, richiamato con forza da Maria: la «conversione», e del grande gesto di Cristo: «dare il proprio corpo e il proprio sangue» per la salvezza degli uomini. L’accettazione gioiosa della sofferenza insieme con Cristo da parte degli ammalati, la dedizione ammirevole di tanti giovani ai poveri e ai sofferenti, il «clima» ininterrotto di intensa preghiera, a Lourdes, non sono comprensibili se non alla luce della Messa che nella «cittadella di Maria» è al primo posto, sempre. E Cristo nell’Eucaristia passa benedicente fra i malati, annunciatore e realizzatore di una salvezza più profonda).

Anche noi qui in monastero rinnoviamo con profonda devozione la nostra fiducia all’Immacolata e durante la Sana Messa accompagniamo i nostri e tutti gli ammalati con la preghiera.
Davide, un carissimo amico un giovane molto caro alla comunità, contribuisce a rendere questa celebrazione ancor più intensa, oggi consacra la sua vita a Maria. Certamente Benedetto XVI è stato e continuerà ad essere uno dei più grandi Testimoni del Mistero e probabilmente è anche merito suo se questo giovane – che potrebbe sembrare un ragazzo d’altri tempi – si affida e mette la sua vita nelle mani della Madre di Dio.
Sono le dieci usciamo dal coro e ci incontriamo – come ogni lunedì – per la lezione di teologia, ed è proprio durante questo momento di studio comune che apprendiamo la triste notizia: Il Santo Padre Benedetto XVI lascia il Pontificato.
Quanta gioia per Davide e il momento vissuto insieme poco prima e quanta tristezza per questo annuncio che ci sgomenta.
Poco dopo anche Davide ci esprime via mail il suo dolore:
“La notizia di oggi è un pugnale che apre una grossa ferita. Preghiamo insieme perché non sia di scandalo ma concime di una nuova decisione di seguirLo dovunque.

Un abbraccio, in Cristo e nelle mani di Maria.
 Davide”.
Con il tuo gesto Davide ci hai dimostrato che come ha fatto il Santo Padre nel primo giorno del suo Pontificato, anche tu riponi per tutta la tua vita fiducia nel Signore e in Maria, in qualche modo hai seguito il suo esempio, entrambi siete stati per me testimoni fedeli dell’amore di Dio.

Caro Papa, ti confido che è forte la mia ignoranza circa le questioni della Chiesa, ti dico questo perché tante saranno le questioni e le chiacchere che si faranno in merito a questa tua decisione, i miei superiori però mi hanno aiutato a comprenderne la portata e a valutarne le motivazioni.
Io personalmente nel cuore conservo solamente quelle parole che hanno segnato momenti particolari della mia esistenza e che nel tempo e contro ogni previsione mi hanno condotto ad intraprendere un cammino come religiosa presso una comunità dedita all’adorazione eucaristica (a te tanto cara).
Nell’agosto 2005 decisi di fare un’esperienza in monastero, non presi la cosa seriamente solo quell’ambiente destava in me una forte curiosità; dopo un pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo a cui fece seguito la mia conversione, conobbi delle monache Adoratrici, rimasi fortemente impressionata dalla luce che traspariva dai loro occhi, e poi erano così serene!!!!
Io da tempo cercavo quella pace, ma non sapevo dove avrei potuto trovarla, una cosa è certa, mai avrei immaginato di doverla cercare in un monastero e tanto meno in un monastero di monache di clausura!
La cosa mi sconvolse e ancor più mi rese inquieta il fatto che la fonte della loro gioia stava semplicemente in un piccolo pezzo di pane. Tutto si svolgeva in ginocchio davanti all’Eucaristia lì proprio lì si consumava e si consuma il Mistero della pienezza della vita di ogni uomo!
Mi sembrava un’utopia, cosa d’altri tempi eppure il mio cuore riusciva a capire che era proprio così, una percezione che superava me stessa che veniva da un Altro che io ancora non conoscevo ma ero da Lui conosciuta. Avevo raggiunto la meta e la cosa mi rendeva davvero felice e al tempo stesso ero tremendamente spaventata. Adesso che ne sarebbe stato della mia vita? Capivo che ne stavo perdendo il controllo…
Io fino a quel momento avevo identificato la felicità con il possesso di beni materiali, pur nella consapevolezza che accumulare cose non mi rendeva e non mi avrebbe mai reso felice persistevo in questa corsa e senza sentirmi mai sazia. Solo la verità poteva dare senso alla mia vita, lo scoprii quell’estate in monastero e ne rimasi sconvolta, la mia vita rimase scombussolata a tal punto che percepivo come insopportabile vivere come avevo fatto fino a quel momento.
La paura cresceva e crebbe nel momento in cui mi resi conto che forse Gesù mi chiedeva di seguirlo…
Mi riusciva impossibile anche solo immaginare di dover totalmente consacrare la mia vita a Cristo e soprattutto come religiosa.
Il problema è che li fuori niente e nessuno avrebbe mai potuto aprirmi un orizzonte così grande e così vero! Perché era la verità che io cercavo, la mia verità e la Verità in Persona.
Insomma si apriva di fronte a me una strada e la direzione era quella della “Vita”, ti confido caro Papa che provai allora davvero un forte dolore, intenso, ma avevo bisogno di qualcosa che risvegliasse la mia Anima e solo il dolore poteva arrivare a tanto. Il dolore crebbe perché a breve cominciai a vedere il peggio di me a riconoscere che avevo un limite ma qualcun “Altro” mi chiedeva di superarlo. Compresi che da quel momento il Signore mi chiedeva di cambiare rotta e ebbi la percezione che avrei faticato molto…
Il dolore che ancora oggi provo mi ha fatto conoscere cos’era il vero bene, ed era quello che mancava alla mia vita.
Un sabato di quell’estate, precisamente il 21 agosto all’ora di pranzo le monache accesero il televisore; tu Santo Padre eri a Colonia in occasione della XX Giornata Mondiale della Gioventù e trasmettevano le immagini della veglia del giorno prima. Ascoltai il discorso che avevi tenuto ai giovani in quella notte di preghiera e quelle tue parole confermarono pienamente quello che mi stava accadendo e soprattutto quello che il Signore voleva da me.
Ecco parte di quel memorabile discorso:

Cari giovani!
Nel nostro pellegrinaggio con i misteriosi Magi dell'Oriente siamo giunti a quel momento che san Matteo nel suo Vangelo ci descrive così: "Entrati nella casa (sulla quale la stella si era fermata), videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2, 11). Il cammino esteriore di quegli uomini era finito. Erano giunti alla meta. Ma a questo punto per loro comincia un nuovo cammino, un pellegrinaggio interiore che cambia tutta la loro vita. Poiché sicuramente avevano immaginato questo Re neonato in modo diverso. Si erano appunto fermati a Gerusalemme per raccogliere presso il Re locale notizie sul promesso Re che era nato. Sapevano che il mondo era in disordine, e per questo il loro cuore era inquieto. Erano certi che Dio esisteva e che era un Dio giusto e benigno. E forse avevano anche sentito parlare delle grandi profezie in cui i profeti d'Israele annunciavano un Re che sarebbe stato in intima armonia con Dio, e che a nome e per conto di Lui avrebbe ristabilito il mondo nel suo ordine. Per cercare questo Re si erano messi in cammino: dal profondo del loro intimo erano alla ricerca del diritto, della giustizia che doveva venire da Dio, e volevano servire quel Re, prostrarsi ai suoi piedi e così servire essi stessi al rinnovamento del mondo. Appartenevano a quel genere di persone "che hanno fame e sete della giustizia" (Mt 5, 6). Questa fame e questa sete avevano seguito nel loro pellegrinaggio - si erano fatti pellegrini in cerca della giustizia che aspettavano da Dio, per potersi mettere al servizio di essa.
Anche se gli altri uomini, quelli rimasti a casa, li ritenevano forse utopisti e sognatori - essi invece erano persone con i piedi sulla terra, e sapevano che per cambiare il mondo bisogna disporre del potere. Per questo non potevano cercare il bambino della promessa se non nel palazzo del Re. Ora però s'inchinano davanti a un bimbo di povera gente, e ben presto vengono a sapere che Erode - quel Re dal quale si erano recati - con il suo potere intendeva insidiarlo, così che alla famiglia non sarebbe restata che la fuga e l'esilio. Il nuovo Re, davanti al quale si erano prostrati in adorazione, si differenziava molto dalla loro attesa. Così dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore. Cominciò nello stesso momento in cui si prostrarono davanti a questo bambino e lo riconobbero come il Re promesso. Ma questi gesti gioiosi essi dovevano ancora raggiungerli interiormente.
Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull'uomo e, facendo questo, dovevano anche cambiare se stessi. Ora vedevano: il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo. Il modo di agire di Dio è diverso da come noi lo immaginiamo e da come vorremmo imporlo anche a Lui. Dio in questo mondo non entra in concorrenza con le forme terrene del potere. Non contrappone le sue divisioni ad altre divisioni. A Gesù, nell'Orto degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo (cfr Mt 26, 53). Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo il potere inerme dell'amore, che sulla Croce - e poi sempre di nuovo nel corso della storia - soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina che poi si oppone all'ingiustizia e instaura il Regno di Dio. Dio è diverso - è questo che ora riconoscono. E ciò significa che ora essi stessi devono diventare diversi, devono imparare lo stile di Dio.
Erano venuti per mettersi a servizio di questo Re, per modellare la loro regalità sulla sua. Era questo il significato del loro gesto di ossequio, della loro adorazione. Di essa facevano parte anche i regali - oro, incenso e mirra - doni che si offrivano a un Re ritenuto divino. L'adorazione ha un contenuto e comporta anche un dono. Volendo con il gesto dell'adorazione riconoscere questo bambino come il loro Re al cui servizio intendevano mettere il proprio potere e le proprie possibilità, gli uomini provenienti dall'Oriente seguivano senz'altro la traccia giusta. Servendo e seguendo Lui, volevano insieme con Lui servire la causa della giustizia e del bene nel mondo. E in questo avevano ragione. Ora però imparano che ciò non può essere realizzato semplicemente per mezzo di comandi e dall'alto di un trono. Ora imparano che devono donare se stessi - un dono minore di questo non basta per questo Re. Ora imparano che la loro vita deve conformarsi a questo modo divino di esercitare il potere, a questo modo d'essere di Dio stesso. Devono diventare uomini della verità, del diritto, della bontà, del perdono, della misericordia. Non domanderanno più: Questo a che cosa mi serve? Dovranno invece domandare: Con che cosa servo io la presenza di Dio nel mondo? Devono imparare a perdere se stessi e proprio così a trovare se stessi. Andando via da Gerusalemme, devono rimanere sulle orme del vero Re, al seguito di Gesù. […]
La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo lieti di appartenere a questa grande famiglia che vediamo qui; siamo lieti di avere fratelli e amici in tutto il mondo. Lo sperimentiamo proprio qui a Colonia quanto sia bello appartenere ad una famiglia vasta come il mondo, che comprende il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le parti della terra. In questa grande comitiva di pellegrini camminiamo insieme con Cristo, camminiamo con la stella che illumina la storia.
"Entrati nella casa, videro il bambino e Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2, 11). Cari amici, questa non è una storia lontana, avvenuta tanto tempo fa. Questa è presenza. Qui nell'Ostia sacra Egli è davanti a noi e in mezzo a noi. Come allora, si vela misteriosamente in un santo silenzio e, come allora, proprio così svela il vero volto di Dio. Egli per noi si è fatto chicco di grano che cade in terra e muore e porta frutto fino alla fine del mondo (cfr Gv 12, 24). Egli è presente come allora in Betlemme. Ci invita a quel pellegrinaggio interiore che si chiama adorazione. Mettiamoci ora in cammino per questo pellegrinaggio e chiediamo a Lui di guidarci. Amen
(Discorso del Santo Padre Benedetto XVI, Colonia, Spianata di Marienfeld, Sabato, 20 agosto 2005).
Sono trascorsi cinque anni da quella domenica, è il 21 agosto del 2010 ed io ufficialmente entro in monastero, un monastero di clausura presso una comunità di monache dedite all’adorazione eucaristica. Sono trascorsi tre anni da quel 21 agosto, e oggi 11 febbraio 2013 la notizia delle tue dimissioni Santo Padre mi sorprende al punto tale che non so nemmeno io come reagire, non mi riesce di piangere, e mi chiedo il perché, mentre vedo le mie consorelle e la mia Madre superiora in lacrime. Non sono forse fedele al Papa e alla Chiesa? Un pochino mi rammarico, poi la Madre mi aiuta a comprendere. Il mio cammino è ancora immaturo ho ancora molta strada da percorrere, ti chiedo scusa...
Santo Padre io so che ti sono fedele ora e ti sarò fedele anche dopo, ti ringrazio per avermi accompagnato nel cammino in questi anni e solo adesso prendo coscienza del fatto che tu sei stato il “mio Papa”, perdona il mio fragile e immaturo percorso, perdona la mia poca fede i miei limiti umani che anche in questi giorni di prova mi hanno messo in condizione di mettere in discussione la mia vocazione, sappi però che le parole che hai pronunciato domenica durante l’Angelus mi hanno scosso profondamente, sono state per me motivo di profonda riflessione, avrò certamente ancora momenti di prova e scoraggiamento ma cercherò con i miei limiti e la mia piccolezza di rispondere a questa chiamata con totale affidamento al Signore e alla Vergine Maria.
Forse anche tu adesso sei fragile ma sappi che nella tua debolezza hai contribuito a salvare una vocazione. La tua umanità è stata per me un punto di forza in questo momento: "quando sono debole è allora che sono forte", lo ha detto San Paolo ma lo ricordava spesso anche il tuo carissimo amico Giovanni Paolo II.

L’uomo non è autore della propria vocazione, ma dà risposta alla proposta divina; e la debolezza umana non deve far paura se Dio chiama. Bisogna avere fiducia nella sua forza che agisce proprio nella nostra povertà; bisogna confidare sempre più nella potenza della sua misericordia, che trasforma e rinnova. […]
Cari fratelli e sorelle, questa Parola di Dio ravvivi anche in noi e nelle nostre comunità cristiane il coraggio, la fiducia e lo slancio nell’annunciare e testimoniare il Vangelo. Gli insuccessi e le difficoltà non inducano allo scoraggiamento: a noi spetta gettare le reti con fede, il Signore fa il resto. Confidiamo anche nell’intercessione della Vergine Maria, Regina degli Apostoli. Alla chiamata del Signore, Ella, ben consapevole della sua piccolezza, rispose con totale affidamento: «Eccomi». Col suo materno aiuto, rinnoviamo la nostra disponibilità a seguire Gesù, Maestro e Signore
(Angelus, Piazza San Pietro, Domenica, 10 febbraio 2013).

Grazie Santo Padre per il tuo Pontificato per la tua persona, per la tua umanità, per la tua umiltà per esserci stato pastore e guida in questi otto anni, noi continuiamo a pregare per te e per la Chiesa tutta.