Un Memento Mori per l'Europa

Nella cattedrale di Santa Maria di Segovia, un artista spagnolo della seconda metà del 1600 - Ignacio de Ries - ci ha lasciato un dipinto che pare l’istantanea di certi nostri tempi moderni, dove le tragedie più terribili si accompagnano a spensieratezza e gozzoviglie, con una nonchalance preoccupante.
Autore:
Maria Gloria Riva
Fonte:
https://www.avvenire.it/rubriche/dentro-la-bellezza
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Un tempo lungo le strade, affrescate sui muri, nelle chiese e in luoghi pubblici e privati, pullulavano immagini note come memento mori. Le abbiamo cancellate o abolite con una certa aria di sufficienza, giudicando tali immagini, rimando per ciascuno di noi all’imminenza della fine, inopportune o macabre. In realtà, a ben riflettere, queste opere avevano un loro preciso significato e un loro valore.

Nella cattedrale di Santa Maria di Segovia, un artista spagnolo della seconda metà del 1600 - Ignacio de Ries - ci ha lasciato un dipinto che pare l’istantanea di certi nostri tempi moderni, dove le tragedie più terribili si accompagnano a spensieratezza e gozzoviglie, con una nonchalance preoccupante.
Il dipinto s’intitola l’albero della vita e, in effetti, raffigura uno stupendo albero che s’innalza entro tutta la tela. La chioma è così larga e piatta da accogliere comodamente un banchetto luculliano e ciò sarebbe quasi confortante se non fosse che, nell’ignoranza generale, il tronco dell’albero sta pericolosamente rovinando sotto i colpi di una falce impugnata dalla morte. Chi dirige l’operazione delicata dell’abbattimento è il demonio, piccolo quanto un criceto: infatti, mentre la morte è un’evidenza per l’uomo, del maligno o si parla poco o si parla troppo e ciò rappresenta il miglior favore che gli si possa fare. Oggi, ma evidentemente non solo oggi (e il buon de Ries lo testimonia), da un lato si invoca il demonio a proposito e a sproposito o, dall’altro, si nega la sua esistenza. Il fatto è che esiste e lavora instancabilmente per portare uomini e bestie, creato e creature, verso la morte ultima.

A destra dell’albero, Cristo vestito di viola, colore dell’invito al cambiamento, colore della conversione, si accinge a suonare una campana. Non si può fare a meno di citare il grande Hemingway che ha reso popolare un detto ormai tramontato nel nostro linguaggio: per chi suona la campana? Sì, la campana suona per me, per te, per tutti. Tra lo scomparire di molte funzioni della campana di un villaggio, uno dei pochi suoni che rimane è quello che annuncia la morte di qualcuno.
Cristo annuncia la fine imminente, avverte con lo sguardo preoccupato e premuroso quell’umanità gaudente che occorrerebbe darsi pensiero per altro: Vedi che devi morire e che non sai quando! Attenzione Dio ti guarda, vedi ti sta guardando! esplicitano due scritte poste in alto. Insomma: sarebbero necessarie opere più consistenti, atti che abbiano il sapore dell’eternità e che fungano da biglietto da visita nell’ultima ora.
Come non pensare ai panorami politici attuali? All’Italia, indubbiamente, ma anche all’Europa in generale? Un’Europa preoccupata dell’equilibrio economico e della stabilità della sua moneta, preoccupata di scaricare i suoi rifiuti (organici o no, spesso anche umani) a destra e a sinistra, senza avvedersi che la scure è alle radici e la campane batte i suoi colpi. Sì, cari governanti la campana suona anche per voi. E allora tutte le cose perderanno lucentezza e rimarranno, non le cose dette per salvare la faccia, ma i fatti operati per salvare gli uomini e le loro famiglie.
Forse il buon contadino di Segovia era più fortunato di noi: entrando in chiesa, forsanche una volta l’anno, alzando lo sguardo poteva ammirare quel tanto disprezzato memento mori, che lo avvertiva della fine di tutte le cose e della necessità impellente di fare qualcosa non per accrescere se stesso, ma per far progredire nel bene e nel meglio questa nostra umanità