La sabbia negli occhi di Brueghel
Una lettera al nostro amico Fabio Cavallari contenuta nel libro Mendicanti di Bellezza. Una lettera che fa riflettere.- Autore:
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Quanta sabbia c'è, Fabio, in questo dipinto di Brueghel. Sabbia negli occhi, sabbia nel cuore, sabbia nella bocca di chi cade. C'è la sabbia di un tempo improduttivo perché carico di una andare verso il vuoto, il nulla, il non si sa dove. Certo non è, non vuole essere, nell'intento dell'autore una gratuita, quanto ingiustificata, condanna ai non vedenti, ma vuole essere il ritratto di una umanità che proprio mentre crede di vedere allora è cieca. Del resto il dipinto che possiamo ammirare al Museo Capodimonte di Napoli, si intitola la parabola dei ciechi. Sì, è una parabola, perché è parabola della vita stessa.
E non ci sentiamo forse un po' tutti nei panni di questi ciechi allorché non sappiamo scorgere il miracolo della vita che fiorisce sotto i nostri occhi, incurante di quanto la conculcano sotto pretese libertà, sotto le false spoglie di teorie di emancipazioni?
Non possiamo fare a meno di notare che il cieco in testa a tutti aveva uno strumento musicale in mano. Lui che voleva guidare gli altri con la voce suadente del proprio strumento è caduto nella disarmonia del passo perché ha tenuto lo sguardo troppo rivolto a sé e non al Vero e al Bene Altro, quello che viene dal Cielo.
Invano bastone tocca bastone, mano cerca mano, invano ci si appoggia al compagno perché tutti insieme, ciecamente, ci si è affidati a chi non può guidare perché, per primo, è cieco.
Non è la parodia di un mal governo. È la storia di ciascuno di noi quando non ci si affida a Colui che può salvare la nostra Vita, perché davvero Padre della vita stessa, perché origine e fonte del nostro destino. Egli solo vede e chi si fa cieco per lui, allora può davvero vedere il mondo, contemplare la storia come dall'alto, conoscere il tutto nel frammento grazie a un discernimento sicuro.
Tra i non vedenti c'è chi in questo Padre crede. Il penultimo, ben vestito, dall'aria signorile porta al collo una croce. Quello al centro che pare alzare gli al Cielo e porta alla cintola la corona del rosario, la porta accanto alla ciotola e al coltello, cioè accanto agli strumenti del pasto quotidiano. Eppure Dio non c'è dentro il loro andare. Essi passano soltanto dentro il mondo mentre la vera chiesa, quella fatta dai credenti, da quelli che vedono e che cadono non per incuria o dabbenaggine, ma perchè testimoni di Colui che è caduto per tutti, sta serena e immutabile, forte, come l'edificio sullo sfondo che pare guardare compassionevole e in attesa il corteo dei sei.
Sì, sono sei i ciechi, come i giorni della settimana lavorativa. Sei come i giorni occorsi a Dio per compiere l'opera della creazione dell'uomo e della donna. Il sesto giorno. Ancor di più parabola, allora, questa dei ciechi. Parabola della nostra umanità, che si lascia inghiottire dai suoi giorni senza contarli, rotolando nelle proprie illusioni, mentre la storia passa.
Non c'è speranza allora? Sì, c'è. Nemmeno Brueghel la dimentica: vedi l'uomo cieco in fondo? È l'unico che non si appoggia a nessuno, l'unico che sorride, l'unico che non ha gli occhi incavati o coperti o riversati fronte. Anche lui è cieco come gli altri, come lo siamo tutti, in fondo di fronte al mistero della vita. eppure lui è diverso. Lui in qualche modo vede, non si lascia condurre da chi è più cieco di lui, non si affida a un bastone che sta nelle mani di un altro. Impugna con la sinistra il suo vincastro e tasta bene il terreno, volge lo sguardo verso la luce per sentire dove sorge il sole e allora, dirige il passo.
Non sempre la verità brilla dove grida la maggioranza, spesso è solo la minoranza a vedere, ma per i suoi passi brevi e saldi tutta l'umanità può rialzarsi e sperare.