La Maddalena e il giardiniere
Con Pietro, Giovanni e la Maddalena ci siamo anche noi. Per la fede e per la celebrazione dei Misteri Pasquali, della Veglia, madre di tutte le Veglie, anche noi siamo dentro al sepolcro più noto al mondo. Dove, una volta per tutte, la morte è stata vinta.
In una miniatura del Quadrittico di Stein, Simon Bening, probabile artista dell’intero ciclo, si trova raffigurata Maria Maddalena che incontra il Risorto davanti alla tomba vuota.
La tomba però non si vede, a dispetto dell’iconografia classica dell’evento che porta il titolo «Noli me tangere», a partire le parole di Gesù rivolte alla sua discepola: «Non mi trattenere». La tomba non c’è, sta evidentemente alle spalle della Maddalena, vale a dire dove siamo noi.
Il miniaturista vuole dirci garbatamente che nella tomba ci siamo noi, ci siamo ancora noi se, con la Maddalena, viviamo scollegati dall’eternità e non, come direbbe Paolo, quali vivi tornati dai morti. Ancora lasciamo spazio a che le cose di questo mondo prendano il sopravvento e si carichino di significati estranei, non solo alla logica del Vangelo, ma anche a quella logica di sopravvivenza e di verità e di bene iscritta nel cuore umano.
Maria di Magdala è velata di lacrime, tiene stretto fra le mani il suo vasetto di nardo profumato, pronto per imbalsamare il Corpo di Gesù e piange, non vuole credere, non può credere alla risurrezione. È tanto evidente che si tratti di un trafugamento di cadavere e il dispiacere è duplice: il dolore per la morte atroce del Maestro e, ora, il dolore per la profanazione della tomba e per quel vasetto di nardo inutilizzato.
Così siamo noi, ancorati ai nostri schemi, forse preziosi e giusti come il vaso di nardo (cosa che pochi si potevano permettere), ma pur sempre inadeguati alle prospettive divine che affondano nel per-sempre.
Così il Signore e Maestro si presenta vestito da giardiniere con la vanga in mano. Lo stesso Vangelo lo indica così, come un giardiniere. E alla Maddalena, piangente, che scoperchia il suo vaso d’olio, quasi a certificare la sua buona volontà di rendere onore a un cadavere, Gesù mostra le piaghe. Mostra le sue piaghe che permangono nella gloria. A ben vedere il contrasto è forte. Da un lato l’aspetto di Cristo suggeriva una quotidianità assoluta, è scambiato per un ortolano, dall’altro si fa riconoscere in un segno sconcertante: le ferite aperte di un corpo redivivo. L’autore fonde l’apparizione del Risorto alla Maddalena con quella fatta nel Cenacolo ai discepoli riuniti. È nel Cenacolo, si dice nel Vangelo, che mostra le sue piaghe.
L’intento è chiaro, all’orante che pregando contemplava queste miniature, si vuole insegnare che Cristo si cela spesso sotto le spoglie di chi ci sta accanto, la fede in lui passa per la concretezza dell’esistenza: i figli, il marito o la moglie, il Superiore o il Vescovo, il vicino di casa o la signora della porta accanto. Pur tuttavia la Sua presenza non si esaurisce lì, viene piuttosto comprovata ogni volta, dalla straordinaria forza del miracolo quotidiano. Sì, occorre la capacità di intus legere, di leggere dentro e tra le pieghe della vita diaria per riconoscere Cristo nel giardiniere e le dinamiche della risurrezione in un mondo, che soffre ancora per le piaghe del peccato.
Non siamo diversi dalla Maddalena e dagli Apostoli. Nel paesaggio che fa da sfondo alla scena si scorge il profilo di una chiesa. È un anacronismo voluto. È in quella chiesa di pietra e di mattoni, in quella chiesa che è fatta anzitutto di uomini e donne con le loro fragilità che si nasconde il Mistero. Abbiamo un tesoro in vasi di creta, diceva Paolo. Occorre uno sguardo di fede grande per vedere chiaro nelle pieghe oscure della storia, per riconoscere il da farsi. I positivisti ad oltranza, come i profeti di sventura non hanno uno sguardo di fede. La fede non dimentica le piaghe, ma va oltre; non cancella la passione, ma fissa gli occhi in quella speranza che Cristo ha indicato come certa.
Noli me tangere, dice Gesù a Maria di Magdala, non mi trattenere: è la tentazione del credente, di chi rimane bloccato in una fede sentimentale. Si vuole talora circoscrivere il Mistero, tenerlo per noi, mentre la fede è un incontro che spinge oltre. Oltre i confini delle nostre categorie umane e chiede di restare ancorati alla Verità. L’umano va letto alla luce del destino eterno, diversamente finiamo per vedere in Cristo davvero, e solo, un giardiniere e nel suo Corpo risorto un redivivo che morirà di nuovo.