Samuel Bak e Durer

L'abbraccio di un tedesco a un ebreo
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Il mese di gennaio si è aperto all’insegna di panorami inquietanti e di segni di speranza. Da un lato la terra ha continuato a tremare: debolmente in Italia, rovinosamente ad Haiti e questo ha popolato di nuovo le nostre case di macerie e pianti e angoscia. Dall’altro, molto più in sordina, un popolo di uomini di buona volontà continua la sua lotta contro il qualunquismo, il fatalismo più bieco e cerca di uscire dalle strettorie delle precomprensione, attraverso la via semplice dell’incontro. Il Santo Padre, infatti a dispetto delle tante ingiuste polemiche ebraiche e non sulla ascesa di Pio XII alla gloria degli altari, si reca nella Sinagoga di Roma. Un segno enorme per chi conosce il percorso faticoso dei rapporti ebraico cristiani.
Di fronte a un panorama così non si può non pensare a un artista ebreo vivente, uno di quelli tenacemente attaccato alla forma, che pur avendo assistito alla deformazione dell’uomo, più tragica di quella della picassiana Guernica, non ha voluto rinunciare a un’arte che sia comprensibile a tutti. Dove l’uomo sia uomo e dove i grandi artisti del passato ritornano come citazioni attualizzate dentro un panorama, appunto, angoscioso, come quello che ci offre quotidianamente la nostra Tv.
Inspiegabilmente nel 1945 un ragazzetto ebreo, appena adolescente, con lo sguardo ferito dalla Shoà e con un cuore d’artista capace di vedere il Bello ovunque, anche entro il biglietto ingiallito lanciato da un treno che corre verso Auschwitz, un bambino così incontra per caso un grande tedesco. Il bambino si chiama Samuel Bak sta raggiungendo un campo profughi in Baviera e, nel viaggio, rovistando tra vecchi libri d’arte strappati e consunti, trova un disegno di Dürer, tedesco, vissuto quattrocento anni prima di lui. Questo disegno lo cattura, lo affascina: il suo animo si riempie di speranza, senza ben comprendere il perché. Eppure il disegno s’intitola Melanconia (Figura 1).
Che caso! Anche qui, come nella Sinagoga di Roma, un tedesco e un ebreo abbracciati, dalla comune domanda sulla vita e sul destino dell’uomo, abbracciati dalla necessità di un confronto che sorga da una presenza.
Nel disegno di Dürer, un angelo (che è il ritratto dello stesso artista) poggia stancamente il viso sulle nocche della mano e guarda pensoso a terra. All’orizzonte un arcobaleno perfetto incrocia una stella cometa (il nuovo mondo e i vecchi valori). In primo piano una casa, un animale e un putto-scrivano sembrano accomunati dalla desolazione. In fondo un cartiglio ci informa: melanconia. Sì, melanconia per un mondo che non è più, per un equilibrio interrotto e non più ripristinabile. Melanconia perché si vorrebbe risorgere e la strada non c’è. Dürer viveva gli anni della rottura luterana. Egli stesso, cattolico e amico della comunità cristiana di Venezia, ne rimarrà profondamene coinvolto. Aderirà a Lutero per poi prenderne di nuovo le distanze.
Il suo angelo pensante è circondato da oggetti che rimandano alle cosiddette scienze esatte: l’aritmetica e la geometria. Troviamo un compasso, una sfera, il quadrato magico con i sedici numeri; un parallelepipedo, una scala, simbolo della ricerca ecc. Una perfezione che ahimè non dà la pace, come si evince dal volto triste del Dürer-angelo. Il riferimento è chiaramente storico: il XVI secolo canta il suo addio al secolo delle tenebre e si apre al cosiddetto secolo dei lumi, che sotto le spinte dell’emancipazione della scienza non darà né maggiori certezze, né tranquillità e neppure la pace. La melanconia nasce del resto, lo afferma anche Freud, dalla perdita della patria e di un passato in cui identificarsi.
Si può comprendere come Bak abbia attinto forza da un'opera così, egli stesso lo scrive: L’angelo riflette lo stato del genere umano nel XVI secolo, in bilico fra l'età delle tenebre e l'età dei Lumi. Mi sentii come se l'angelo mi avesse fatto l’occhiolino dicendo: «Coraggio, prosegui: non cessare di cercare. Trasportami nel tuo tempo e nelle tue ansietà: vedi, anche tu vivi un’epoca che ha dato la sua luce alla forza delle tenebre!» Così Samuel non ha mai perso la sua passione di esplorare le opere d’arte alla ricerca della luce della verità.
Il bimbetto ebreo, inorridito dagli orrori del Lager, dove la Germania era nemica, trova nel disegno di un tedesco una nuova e più alta compagnia che lo salva dalla bruttura e dall’odio. L’inimicizia e il peccato non coincidono con una categoria, una razza, una religione, ma coincidono con l’uomo che segue la menzogna, incline a cammini che percorrono la via dell’ideologia e del dominio. Da qualunque popolo, razza o religione questi provenga.
Così Samuel trasporta l’angelo di Dürer nella sua esperienza e lui, ragazzetto in carne ossa, diventa nel suo dipinto Elegia III (figura 2) un bimbo di carta, per la fragilità della vita da cui è travolto, di carta come la pace, rappresentata dall’arcobaleno. Mentre lo strappo ingiallito dell’incisione di Dürer diventa vivo: un angelo in carne e ossa dal cappotto militaresco che medita un mondo in rovina, chiaramente visibile dietro la sagoma del bambino a mani alzate.
Sì, sperimentiamo anche noi come la vita oggi sia di carta, fragilissima, la vita e la pace sono fragili. I rapporti, come quelli fra i credenti, sono fragili: ci si uccide in nome di Dio, ci si evita in nome di una Verità più alta. Ma Dio invece è nella circostanza fragile di una pagina d’arte, che si solleva dal tempo e diventa viva. Dio è qui, aveva detto una volta Chagall entrando nella sala che raccoglieva i suoi cinque dipinti sul Cantico dei Cantici. Sì, Dio è qui dove esplode l’amore e la vicinanza gratuita. Dio è i oggi nell’incontro di un cristiano, un tedesco –il Papa- con ebrei di fede e di razza. Dio è in una compagnia che si sorregge in nome di un destino eterno che vedrà tutti davvero uniti sotto l’arcobaleno della Sua Presenza.
Dürer non era un tedesco puro sangue, il padre era di Norimberga, Ungheria, la città dove più dure furono le leggi razziali. Norimberga ospitò con successo molte mostre di Bak, l’ebreo un tempo discriminato. Sembra di sentire le presunte riflessioni dell’angelo di Dürer: Coraggio, proseguiamo. E’ possibile cambiare, siamo già cambiati. Nel momento in sui speriamo, sorge una luce nuova, e noi cambiamo.