Scuola di Atene

Raffaello, affrescando le pareti delle Stanze Pontificie espresse la necessità, ma anche la possibilità feconda, del dialogo fra la Chiesa e la cultura del suo tempo

Raffaello, affrescando le pareti delle Stanze Pontificie espresse la necessità, ma anche la possibilità feconda, del dialogo fra la Chiesa e la cultura del tempo, celebrando, accanto al trionfo dell'Eucaristia, il trionfo della sapienza con la Scuola di Atene e quello dell'arte con l'affresco del Parnaso.
Proprio su questo secondo "trionfo" ci vogliamo soffermare.



Anzitutto il titolo con il quale comunemente viene identificato: "Scuola di Atene” non risponde affatto all'intento dell'artista. Questo appellativo nasce in ambito protestante e fu il tentativo di storicizzare la rappresentazione scenica dell'affresco misconoscendone la complessità iconografica.
In realtà l'intento di Raffaello e della committenza, cioè Giulio II e i teologi della curia papale, era quello di mettere in risalto la centralità della Chiesa e il suo valore, nella comprensione dell'uomo e delle sue massime aspirazioni.
È quanto in fondo ribadisce Papa Francesco nella Lumen Fidei: il dialogo con il mondo filosofico attuale non può che essere fecondo perché, mentre la Chiesa in tale dialogo comprende sempre più e sempre meglio se stessa e la sua natura, il mondo filosofico contemporaneo può arricchire le sue prospettive e correggere l'idea aberrata di uomo che spesso propone.
L'affresco presenta una iconografia ricca di rimandi alla teologia e alla filosofia per la cui realizzazione certo contribuirono personaggi del circolo neoplatonico che animavano la corte papale. Non si può ammirare l'affresco della cosiddetta Scuola di Atene senza un esplicito riferimento all'affresco della disputa che gli sta di fronte. Se nella Disputa si celebra la grandezza della fede e della teologia quali grandi interpreti della storia e delle aspirazioni umane, nella Scuola di Atene si vuole affermare la necessità per la Chiesa di ricomprendere, attraverso l'ausilio della teologia (considerata una scienza al pari delle altre scienze umane) le categorie del Vero, del Bene e del Bello. Tutta la filosofa antica, qui rappresentata dai suoi più importanti pensatori, era tesa a quel desiderio di eternità e di conoscenza sapienziale cui solo il cristianesimo risponde compiutamente.
Le interpretazioni dell'affresco si moltiplicano a dismisura e non è questa la sede per riportare le varie e principali correnti interpretative, così come sono stati numerosi e vari i tentativi, nel corso dei secoli, di identificare i diversi personaggi che accalcano la scena. Qui desideriamo semplicemente guardare ad alcuni elementi che ci aiutano nella riflessione che più ci sta a cuore.
Al centro della straordinaria prospettiva che rimanda alla scuola prospettica urbinate, stanno due personaggi la cui importanza è evidente. Sono i due principali filosofi dell'antichità: Platone e Aristotile. Il primo, che regge il Timeo, la sua opera più nota, punta il dito verso l'alto quasi a voler sottintendere la natura della sua impostazione filosofica protesa verso il trascendente. Aristotele, invece, regge l'Etica Nicomachea e tiene il braccio a mezz'aria quasi ad indicare come le idee, anche le più sublimi, non possano aver luogo senza che l'uomo ne incarni gli ideali.
Dal dialogo fra queste due tensioni, positive ma insufficienti prese da sole, scaturisce la pluralità delle discipline che si sviluppano nella scena, identificate come le sette arti liberali: a sinistra la grammatica, l'aritmetica e la musica, a destra geometria e astronomia e in cima alla scalinata retorica e grammatica.



Platone e Aristotile (che hanno il volto rispettivamente di Leonardo e Bastiano da Sangallo) incarnano i due apostoli Pietro e Paolo. È dalla dialettica fra questi due giganti della Chiesa che scaturirà la diffusione impressionante dei cristiani nel mondo. Così Raffaello ci lascia intendere che i grandi filosofi della classicità greca, per i quali la società di allora era presa da febbrile ammirazione, non avevano nulla da invidiare e, anzi, molto da imparare dalle due colonne della fede cristiana.



Non mancano cenni ad altri grandi del suo tempo come Michelangelo nei panni di Eraclito e, sulla destra dell’affresco, l’autoritratto di Raffaello accanto al presunto ritratto del Sodoma.
Insomma la Scuola di ieri continua nella Scuola cristiana di oggi che ha dato al mondo grandi personalità.



Nei pilastroni che fanno da sfondo alla gradinata su cui si trovano i filosofi, sono collocate due statue, entrambe riprese da modelli classici: Apollo con la lira a sinistra e Minerva a destra, con l'elmo, la lancia e lo scudo con la testa di Medusa. La prima divinità era invocata per dominare gli istinti negativi dell’animo umano, la violenza e la lussuria (sotto la statua si trovano una Lotta di ignudi e un Tritone che rapisce una nereide), mentre la seconda era capace di dominare con l’intelletto gli istinti più primitivi (sotto Minerva troviamo una donna seduta nello zodiaco e una lotta fra un uomo e un toro).
Più di queste divinità è Cristo colui grazie al quale l’uomo vince questi istinti naturali e non in vista di una sua inibizione, ma –al contrario – a favore di una più autentica promozione.
Quello che sorprende è come, pur in un contesto che si avviava lentamente a quella cultura che noi oggi definiamo laicità, l’uomo della rinascenza fosse fieramente consapevole della grande opportunità offerta dalla fede cristiana.
Oggi viviamo una sorta di complesso d’inferiorità nei confronti di filosofie laiche o laiciste, atee e massoniche, quasi che la cultura cristiana fosse marchiata a fuoco da un oscurantismo insanabile. Basterebbe invece recuperare con oggettività il grande patrimonio artistico religioso per renderci più consapevoli del fatto cristiano e di come questo sia stato capace, non solo di stare al passo con la cultura laica, ma anche di interpretarla senza scadere nella chiusura e nel bigottismo sterile.