Volare nel cielo dell'eternità

Pubblichiamo questo articolo apparso sulla rivista Milizia Mariana, per la quale collaboriamo da tempo
Fonte:
Milizia Mariana
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Chi vive nella prospettiva dell'eternità? Siamo come ammalati di miopia, le nostre prospettive corte non guardano oltre i brevi giorni che ci stanno davanti. E così si vive angosciati nel tormento di un oggi fugace che non appaga mai abbastanza.
Henry Matisse amava la musica. C'è nella musica qualcosa che rimanda prepotentemente all'infinito. La musica richiede abbandono, silenzio, accoglienza. La musica spalanca l'animo.
Un giorno Matisse fu chiamato ad esprimere qualcosa sul Jazz e dipinse un volo, un volo ardito dentro un cielo turchino, come quello di Icaro. Nacque questa immagine (Fig 1) che è una delle venti lastre da lui create per illustrare appunto, il suo libro sul Jazz. L'opera, che data tra il 1944 e 1947, fu realizzata in una tecnica, il paier decoupè, affine al collage. Negli ultimi anni della sua vita questo modo di esprimersi affascinò molto Henry Matisse, forse perché obbligava a una semplificazione somma della forma e otteneva un "rilievo" che rimandava, sia pure molto da lontano, alla scultura. A quell'epoca Henry era ormai settantenne, paralizzato dentro una carrozzina non poteva più camminare, ma aveva il cuore di un fanciullo capace di sognare. Per questo la musica Jazz gli parve un volo. Gli offrì la possibilità di volare nel cielo del suo cuore. Icaro è un uomo d'ombra che in un cielo d'alabastro canta in volo la gioia del vivere.

Ma guardandolo a fondo ci si chiede: come può gioire un uomo così? Non è una goffa sagoma, negazione della luce e del colore? E come può un siffatto uomo volare? Eppure vola nella calma assoluta del suo esserci. Vola nella gratitudine del sentimento religioso che gli fa ardere il cuore.
Sì, è un uomo d'ombra e vola in un infinito abitato da stelle lucenti. Esse ardono come soli nel Cielo di Dio, abitano l'Infinito e non lo sanno. Le stelle sono inconsapevoli, ma lui, l'uomo, pur così oscuro è abitato - non abita - dal desiderio d'Infinito. La sua carne è opaca, ma nel cuore gli arde il fuoco luminoso dell'Amore.
Ecco che cosa, dentro l'uomo, testimonia il palpito dell'eternità: l'amore. Quel desiderio di totalità appagante che alberga nel cuore di tutti: credenti e non credenti, giusti e peccatori, uomini, donne e bambini di ogni razza cultura e fede.
Noi tutti siamo goffi, come l'Icaro di Matisse. Siamo uomini d'ombra e ci è difficile volare. Eppure, se per un attimo fossimo capaci di lasciarci andare nel Cielo dell'Eterno scopriremmo quanto forte sia l'ardimento del cuore che desidera l'infinto.
L'uomo de-sidera: sì! Il nostro cuore ci conduce verso le stelle, verso gli spazi siderali. Matisse lo ha descritto bene: la forma arcana e primordiale di quest'uomo, dice bene l'abbandono fiducioso del suo volo. Se lo contempli, a lungo, lo sguardo viene risucchiato da quel nero ebano e ti trovi, per un attimo, prigioniero della forma.
Come Icaro sperimenti il limite del tuo volo, ma non per molto. Come un lampo il vermiglio del cuore impressiona la tua retina e tutto si dilata. Rimbalzi nel gioco dei primari: rosso, giallo, blu, quintessenza della luce che promette la totalità.
Sì, l'uomo è limite ma nel suo cuore canta grato al Cielo la promessa dell'Eternità.
Questo dovremmo ricordare sempre di fronte ai travagli della vita: non c'è limite umano che possa imprigionare la certezza che ci viene dall'amore che ci arde in cuore: il nostro destino è l'eternità.

Eppure ce ne dimentichiamo e la ferita che portiamo in cuore è come se esplodesse sotto la pressione di infiniti stimoli esterni che ci impediscono di rimanere in volo.
Anche Matisse lo sapeva e, nel libro sul Jazz, ha disegnato anche la caduta di Icaro (Fig 2). Tra i due lavori le differenze non sono molte: stessa sagoma, stesse stelle, stesso cielo, stesso cuore eppure quale immediata diversità d'impatto!
Qui l'uomo non è più d'ombra, anzi s'è fatto chiaro, la sua sagoma goffa si è riempita di luce, ma è una luce apparente. Il nero della sua finitudine è uscito fuori e lo avvolge. Questo nero forma la traiettoria della caduta dove l'uomo, bianco di morte, precipita inesorabilmente.
Il cuore non è più quel punto rosso e fermo ove palpita il desiderio del Cielo, ma esplode in una fiamma piena di dolore. Il bianco del suo corpo non esprime solo il pallore della morte. Il bianco è il colore stesso della luce, anzi non è colore, ma somma di tutti i colori dell'iride. Il bianco è Dio stesso.
Mentre nella prima opera l'uomo d'ombra anelava all'infinito ma era consapevole del suo essere negazione della luce, qui l'uomo vuole essere egli stesso Infinito, vuole essere Dio. E così, derubato del cielo, precipita nell'abisso della negazione di Dio e di se stesso.
La coscienza del proprio limite è quella che spesso rende capace l'uomo di superare il limite stesso. La grandezza della ragione è sapere che la ragione da sola non basta.

Ritorna allora, la domanda iniziale: chi vive nella prospettiva dell'eternità? Solo colui che arde nella ricerca del senso della sua esistenza, e conscio del suo limite, vola nel Cielo Altro di Dio e del suo Mistero.


Da Milizia Mariana