Il volto dietro l'uscio... - 1

Antonio Martinotti, un artista sconosciuto eppure di grande talento. Attivo nella Lombardia realizzò opere anche all'estero: in Brasile e in Australia. Martinotti conobbe le atrocità del Lager rimanendo chiuso in un campo di concentramento per due anni. In questo volto dietro la porta del tempo, traspare tutto lo struggimento di Cristo per il dolore provocato dall'uomo e, insieme, tutta la speranza nella salvezza sempre possibile.
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Antonio Martinotti Cristo alla porta. Collezione privata

Uno scorcio di porta, una mano, un volto di Cristo: è tutto ciò che il pittore contemporaneo – recentemente scomparso – Antonio Martinotti ha usato per descrivere un versetto dell’Apocalisse: Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.
Il passo è contenuto nella lettera all’ultima delle sette Chiese dell’Asia Minore, la Chiesa di Laodicea. Laodicea, una città incline al lusso, al godimento, famoso per il collirio, Un collirio che, ahimé non era in grado di rendere migliore la vista, più puro lo sguardo.
All’angelo della Chiesa di Laodicea scrivi: Così parla l’Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio: Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla”, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista.
Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti. Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me
(Ap 3, 14-21).

Io sono l’amen
Lo schiudersi della porta è una rivelazione, un’apocalisse, appunto. Ci viene rivelato un volto in cui c’è tutta la creazione del mondo, c’è il ricapitolarsi della storia con i suoi sigilli sciolti, ci sono i cieli e la terra nuova della promessa.
Le labbra di Gesù sono nell’atteggiamento di chi ha appena finito di parlare, di chi ha detto tutto, di chi ha pronunciato il suo Amen. Eppure sono anche le labbra di chi parlerà di nuovo, instancabilmente, ripetendo quell’Unica Parola che redime, se questo dovesse servire alla salvezza di chi sta al di qua della porta.

Le nostre tiepidezze e oscurità

Al di qua della porta ci siamo noi, bruni di terra, come l’ombra che s’indovina sull’uscio. Noi, chiamati ad un banchetto, eppure così irrimediabilmente distratti; noi invitati alla comunione col mistero, eppure così ottusamente ripiegati sulle nostre certezze quotidiane.

Scriveva Giovanni Paolo II nell’enciclica Ecclesia de Eucaristia: Purtroppo, accanto alle luci (di amore e devozione al Sacramento), non mancano delle ombre. Infatti vi sono luoghi dove si registra un pressoché completo abbandono del culto di adorazione eucaristica. Si aggiungono, nell’uno o nell’altro contesto ecclesiale, abusi che contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento. Emerge talvolta una comprensione assai riduttiva del Mistero eucaristico. […] Come non manifestare, per tutto questo, profondo dolore? L’Eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e diminuzioni. […]
La Chiesa ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza. Questa non rimane confinata nel passato, giacché «tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi» (EE 10-11)

La sua mano è allo spiraglio

Sopra le nostre oscurità, quindi, si è aperto uno spiraglio di luce, schegge d’oro ci investono: il Signore ha bussato. Chi gli ha aperto? Forse noi? O forse la porta è rimasta socchiusa grazie agli invitati che ci hanno preceduti. Grazie a quelli che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello?
Grazie a loro, forse, la porta delle anime tiepide resta socchiusa alla grazia. E Gesù, che come il Padre non si dà riposo, opera: la mano è già nella fessura, simile alla mano dello Sposo del Cantico che sorprende la sposa dormiente e pigra alla risposta. La mano indovina lo spiraglio e apre.
Io dormo, ma il mio cuore veglia.
Un rumore! È il mio diletto che bussa:
“Aprimi, sorella mia,
mia amica, mia colomba, perfetta mia;
perché il mio capo è bagnato di rugiada,
i miei riccioli di gocce notturne”.
“Mi sono tolta la veste;
come indossarla ancora?
Mi sono lavata i piedi;
come ancora sporcarli?”
Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio
e un fremito mi ha sconvolta
(Ct 5, 2-4).

Continua