L’incendio della Verità
Abbiamo appena varcato le soglie della settimana santa e già divampa l’incendio del male. Quasi non ci fosse tempo di aspettare i giorni della Pasqua, quasi la verità avesse fretta di rivelare un mondo che si sta allontanando a grandi passi dalla giustizia e dalla carità.L’incendio de la Sainte-Chapelle di Notre Dame è rimasto negli occhi come un monito, come il grido di Cristo nel fuoco della passione.
Lelio Orsi era un artista cinquecentesco originale: il suo Cristo morto pare dentro il grembo di un grande rogo ove la pietra si sgretola, schiantata dal dolore. La vita è stata uccisa. Accanto al Cristo, steso sul telo sindonico, abbandonato alla morte come ogni uomo, ecco due figure femminili vegliare nella notte: da esse sembra innalzarsi un canto struggente per l’Autore della vita avvolto nel rigor mortis. Mi sovviene il canto dei francesi pieno di mestizia e soavità di fronte al placarsi dell’incendio che ha devastato il simbolo della loro patria, della loro fede.
E mentre il popolo canta, i potenti rallentano la corsa. Le disposizioni di leggi innovative sono fermate. Il mondo si arresta all’udire il grido della storia che sale dai secoli e ha il potere ancora oggi di scuotere le coscienze. Dolenti, proprio come le due donne di Orsi. Queste sono Carità e Giustizia, virtù tenute insieme dalla morte del Salvatore. Non han da esser separate, loro, ma il mondo lo dimentica presto. Ogni generazione, ogni civiltà, ogni cultura, ha da fare i conti con una memoria breve che brandisce la bilancia della giustizia fino a romperla e scuote le vesti della carità fino a logorarle.
È strano che siano proprio loro le custodi di quel Corpo dato. Lelio Orsi, con sorprendente modernità, racconta di un Cristo morto che trova nella Carità e nella Giustizia due inseparabili testimoni (vere e proprie martiri) dello scempio. Anch’esse muoiono, infatti, quando muore la verità, quando questa è uccisa per interessi più o meno nobili, più o meno religiosi.
Carità è vicina a un braciere, in essa tutto brucia e il suo incendio è ardimento d’amore, è vita. Con una certa non curanza solleva le vesti bianco-verdi, colori della grazia e, appunto, della vita, scoprendo, nascosto tra le pagine di un libro, il Pio Pellicano. Secondo la Legenda aurea questo volatile nutre i suoi piccoli con brandelli della sua carne, come Cristo che nell’Ultima cena offre il suo corpo in cibo, quale farmaco d’immortalità. Giustizia, invece, lascia cadere i piatti della sua bilancia: ogni pretesa di misura tace di fronte alla tracotanza umana incapace di riconoscere la verità. Nell’abito di Giustizia divampa il fuoco: la scure è alle radici. Non c’è che da attendere. E benché le ore senza Cristo agli apostoli siano parse interminabili, l’attesa sarà breve. Il terzo giorno Gesù si solleverà dal sonno della morte, rivelando i segreti dei cuori. Così nel dipinto di Orsi. La luce già inonda il capo del Salvatore e la carità, che è paziente, subito si accorge e lo addita alla giustizia cieca. Di quest’ultima, invece, va alla ricerca il braccio sinistro del Signore, quasi non potesse sollevarsi senza il suo aiuto. Senza verità non c’è giustizia, così come non c’è vero bene senza amore. E quanto dovremo ancora attendere noi, Signore? Noi che abbiamo visto fuggire la verità dalle labbra dei Maestri, che abbiamo visto cadere la giustizia dal cuore dei Potenti e, la carità morire nella vita dei buoni? Te solo attendiamo: tu, non noi, hai parole di vita eterna. Tu, come le reliquie de la Sainte-Chapelle, vinci l’incendio delle nostre falsità.