C’era una volta… la teologia
Le straordinarie evocazioni dei canti antichi- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
Rivedo ancora la mia nonna che da bambina mi portava davanti al presepe per cantare Tu scendi dalle stelle. Quanta tenerezza suscitavano in me quelle parole! Cantavano di un bimbo venuto in una grotta al freddo e al gelo; e mi riempivano di domanda con quell’affermazione amara: «oh quanto ti costò l’avermi amato». Ancora non capivo perché amare dovesse costare tanto, ma era bello, così come era bella la commozione che puntualmente invadeva l’anima alle note calde e semplici delle zampogne. Ogni anno lo zampognaro scendeva dalle montagne per suonare Tu scendi dalle stelle davanti al presepe e ogni anno le famiglie lo attendevano e i bambini, per strada, gli facevano festa. Io con loro. Lo zampognaro, allora, sorridente dentro la sua giacca di lana di pecora ingiallita dal tempo, con quello strumento strano che si gonfiava e sgonfiava, ci regalava la gioia dell’attesa. La musica diventava preghiera. Era la nostra novena di Natale. Lui girava per tutto il paese e al pranzo del 24 arrivava puntualmente a casa nostra per l’ultima “sonata”; poi la condivisione semplice del pasto, una piccola offerta, lo scambio degli auguri e un arrivederci al prossimo anno “se Dio vole”. Mi faceva bene vedere mio padre, mia madre così ospitali e generosi con quello sconosciuto! Era vivere il presepe in atto.
Questa è una poesia che, purtroppo, è andata perduta: le ultime generazioni non la possono più gustare. Se ne conserva forse ancora il ricordo in qualche paesino di montagna. Ed è un peccato perché quando, da adulti si apre lo scrigno della memoria queste immagini ritornano immutate e con-fortano, cioè rinforzano nella speranza della positività della vita, nonostante tutto. Non è sentimentalismo! È riconoscere l’appartenenza a una tradizione semplice, ma profondamente teologica nella sua essenza, che educa alla fede. Così fu per me, ora che nella formazione monastica ho la possibilità di conoscere lo spessore delle parole dei santi padri della Chiesa: Ireneo, Ambrogio, Agostino, comprendo di essere cresciuta a quella scuola, mediata dalla teologia spicciola delle filastrocche o delle canzoncine. Semplici poesiole, all’apparenza, come del resto furono definite (da qualche critico) i testi di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, eppure cariche di tutta la verità della nostra fede.
I versi di Fermarono i cieli, che oltre a Tu scendi della stelle insieme a Quanno nascette Ninno, appartengono al Santo napoletano, mi rimandano alla teologia mariana di san Bernardo e all’esperienza di conversione che Agostino racconta nelle Confessioni. Riesce sempre a coinvolgermi quella strofa di Fermarono i cieli che canta lo stupore di scoprirsi innamorati: Se tardi vi amai bellezze divine! Come non riascoltare in essa la famosa espressione di Agostino: Tardi ti amai Bellezza tanto antica e sempre nuova? Entrambi cantano l’incontro con quella Bellezza da cui nasce una relazione che conduce all’eternità. Senza fine per voi arderò – recita ancora il canto: l’incontro fa scaturire il desiderio di quella adorazione che è il nostro destino. Ritrovo qui, ogni volta, l’esperienza di Madre Maria Maddalena dell’Incarnazione, il cuore delle Costituzioni della mia Comunità. Questi testi ci parlano del Natale come esperienza dell’incontro con Divina Bellezza fatta carne nel Bambin Gesù.
Non è una Bellezza effimera, che attrae ma non coinvolge, che appaga ma non converte, che distrae dal vedere il di più; non è quella bellezza che san Alfonso paragona al fango perché trattiene il passo dell’uomo, quella che il Qoelet chiama vanità. È piuttosto una Beltà che toglie il fiato per il grande il Mistero che è in essa e che l’uomo non può comprendere appieno. Nel testo di Fermarono i cieli si delinea un percorso che conduce alla scoperta di questo Mistero:
anzitutto l’attesa, i cieli si fermano, cioè tutto si arresta tendendo all’ascolto di quel canto che annuncia un evento.
Poi lo sguardo, stupito innanzi a tanta bellezza, proprio come lo sguardo di Maria e lo sguardo dell’Eterno Infante che ferisce l’anima amante.
Poi ancora la preghiera, che sprona a sollevare lo sguardo dal fango della miseria umana per rivolgerlo a Colui che si fatto carne, qui ed ora.
Infine la promessa: questo bimbo è segno della fedeltà di un amore eterno che ha voluto annullare la distanza tra il cielo e la terra.
In questo cammino Maria è il modello, la Madre Chiesa è la custode, la Tradizione è il rinnovarsi dell’esperienza concreta e certa di un rapporto tra Dio e l’umanità. Vivere questo cammino è sentirsi parte di una grande famiglia e della sua storia. Sottrae alla confusione, toglie dalla solitudine per riconsegnarci a una vita teologale, cioè fondata sulla certezza dell’eternità.
Fermarono i cieli Fermarono i cieli la loro armonia cantando Maria la nanna a Gesù Con voce Divina la Vergine bella Più vaga che stella cantava così: Dormi dormi fa la ninna nanna Gesù Dormi dormi fa la ninna nanna Gesù. Mio Figlio mio Dio, mio caro tesoro, tu dormi ed io moro per tanta beltà si desta il diletto, e tutto amoroso con occhio vezzoso la madre guardò | Ah Dio! Alla madre quegli occhi quel guardo fur lampi, fu dardo che l’alma ferì E tu non languisci crudel alma mia vedendo Maria languir per Gesù Che aspetti? Che pensi? Ogni altra Bellezza È fango, è bruttezza: risolviti orsù. Si già trionfa amor del mio seno Non più verrò meno per falsa beltà Se tardi vi amai, Bellezze divine Ormai senza fine per voi arderò Il Figlio e la madre, la madre col Figlio La rosa col giglio quest’alma vorrà |
Fermarono i cieli