Toccatemi
Toccatemi
e guardate.
Sono Io.
Cristo ti raggiunge ed anticipa la tua domanda, prevenendo i dubbi leciti riguardo un fatto mai udito nella storia: la risurrezione del Nazareno.
Si respira l’affetto di Gesù per i suoi discepoli, prima storditi dal dolore e poi ubriachi di gioia.
«Guardate e toccate» sono i verbi dell’Eucaristia, del Signore sbriciolato prima ed adorato glorioso nella sua carne trasfigurata poi.
Come è umana l’incarnazione! Quanta delicatezza da parte di Cristo, che ancora una volta parte da come tu sei per raggiungerti. Come è prepotente la gioia di abbracciarlo, di stringere Colui che è vivo e non muore più, senza staccarsi dal Suo Corpo!
Ma come è altrettanto bello oggi essere richiamati costantemente a Cristo attraverso il suo popolo, quello nato dopo la risurrezione; perché la vita è incontrare quegli Occhi che cambiano tutto ed ogni fratello nella fede può dire «toccatemi e guardate».
L’esistenza è lo stupore di scorgere nell’altro la Presenza: l’altro diviene così Memoria del Signore, perché Lui per primo si è ricordato di noi.
Abbiamo bisogno oggi di gente che ci ricordino il Signore presente.
Allora la custodia dell’altro è la custodia della mia fede.
Le quattro del pomeriggio
Da quel giorno
la loro vita
si fermò
presso di Lui
Noi fermiamo il tempo nei momenti importanti e decisivi della nostra vita. Quelli che non possiamo dimenticare, si fissano anche nella scansione delle ore: è come se la lancetta dell’orologio si fermasse per eternizzare l’attimo, per non permettere ai minuti di cancellare l’impronta dell’avvenimento.
Eppure i secondi non si arrestano, continuano a passare…. come mai li ricordiamo?
Perché il kronos si tramuta in una dimensione temporale interiore! Dentro di noi abbiamo il sapore dell’eternità; il nostro cuore palpita di questo desiderio sconfinato: “verweile dich, du bist so schoen” (Faust-Goethe) (fermati, attimo, sei così bello!). Per Giovanni ed Andrea, in un certo senso, non ci fu bisogno di questo lavoro interiore: Cristo, il Verbo eterno del Padre, per loro aveva bloccato il tempo, semplicemente passando. Per i pescatori di Galilea cambiò tutto. Da quell'ora avrebbero pescato uomini di ogni lingua, popolo e nazione, ma soprattutto dalle quattro di quel pomeriggio avrebbero toccato e contemplato Dio come uno di loro.
Padre
Vibrazione misteriosa
e commossa
della più alta paternità
Impossibile pronunciare questa parola senza vibrare e piangere…vibrare per le viscere della vita che la generazione comporta e commuoversi come un bambino che piange quando viene alla luce.
Come non ricollegare ogni generazione ed ogni ruolo paterno alla tenerezza di Dio? a quell’Essere eterno che quando ci pensa ci ama, che vuole stringersi in comunione con noi? L’affetto del Padre in mio padre.
Sara, Giuditta e Rut
Tre donne, tre poesie, tre opere d'arte a corredo di una veglia diocesana sulla donna, preparata da noi, per imparare a scoprire la bellezza biblica del mondo femminile. Dietro ai profili di queste donne scopriamo anche i nostri profili di donne, di cristiane, di monache.Sara, la maternità sofferta
Sarai, che significa «mia principessa», dopo l’annuncio della maternità diventa Sarah. Non è più solo la donna di Abramo, ma diventa la donna che fonda Israele. Tardando l’adempimento della promessa divina, Sara cerca un percorso alternativo, lascia che la sua schiava, Agar, si unisca ad Abramo per adottare Ismaele. Ma Dio, benché ami Ismaele, sceglierà quale figlio della discendenza di Abramo, Isacco il figlio della fede.
Sarah principessa che ridi
dietro le tende,
intenso sguardo orientale,
silenzioso frusciare di veli.
Presenza possente,
nel cuore di Abramo.
Riposò in te
la profezia dell’Eterno.
In Isacco gravida di popoli
Segno di una nuova terra:
per noi Gerusalemme libera,
per tutti motivo di lieto riso.
L’anziana Sara dipinta da Abel Pann, artista ebreo che studiò a Vitbesk dallo stesso insegnante di Marc Chagall, ci guarda davvero paga di un sorriso lieto. Quel bimbo è frutto della fede e dell’obbedienza, più che di un calcolo umano. S’indovinano fra le rughe della donna, gli errori commessi, i dolori subiti anche a motivo di Agar, la schiava nelle cui braccia aveva consegnato Abramo, per avere, come era lecito un tempo, una discendenza. Ora il bimbo che riposa quieto fra le sue braccia è il bimbo consegnato all’eternità. La vicenda di Sarah insegna che ogni maternità nasce prima dell’effettiva fecondazione. La maternità nasce da un abbandono generoso alla vita, così come Dio ha previsto.
GIUDITTA, il coraggio della difesa
Giuditta era una giovane vedova che, fedele al marito, trascorreva le sue giornate nel digiuno e nella preghiera. Poiché il pericolo incombeva sopra Israele a causa degli Assiri. Gli anziani del popolo decisero di arrendersi perché assediati da Oloferne, generale degli Assiri, ma Giuditta reagì prontamente e, chiedendo il sostegno della preghiera, si offrì per liberare Israele dal nemico. Il suo coraggio fu superiore a qualunque uomo del suo tempo perché sostenuto dalla fede.
Se tu, Giuditta,
voce di sapienza,
lasciati digiuno e lutto,
riprendessi ora
l’abito del coraggio.
Oloferne, capo
perverso,
che seduce il mondo,
penderebbe muto ancora
dalle mura
e il canto della fede
risuonando andrebbe
di voce in voce,
e ancelle preferite,
libere da schiavitù.
Tiziano ci offre l’immagine di una Giuditta giovinetta, che reca la testa di Oloferne accompagnata da un’ancella adolescente. Il contrasto è potente e rimanda al Magnificat: «Dio ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili». La tradizione cristiana vede in Giuditta la prefigura di Maria, che offre se stessa per il bene del popolo e vince. Come Maria, infatti, ella ha l’orecchio scoperto in segno di ascolto e teso verso l’angelo. Sono prese dal libro di Giuditta le parole del Tota Pulchra: «Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu magnifico vanto d’Israele, tu splendido onore della nostra gente» (Gdt 15, 9). In Giuditta trova le sue radici anche il dovere, difeso dalla Chiesa, della legittima difesa: La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità (CCC 2265).
Rut, la fedeltà premiata
Una donna ebrea di nome Noemi viveva a Moab in mezzo a un popolo tradizionalmente nemico di Israele. I figli avevano sposato donne moabite ed erano morti entrambi. Così Noemi decise di tornare in patria e congedò le nuore una delle quali si chiamava Rut. Sapendo il disonore che sarebbe toccato a Noemi, essendo vedova e senza discendenza, Ruth decise di seguirla abbracciando per amore suo la fede d’Israele. Giunta Betlemme Rut sposò un membro della famiglia di Noemi, diede una discendenza al precedente marito e divenne la bisnonna di Davide. Nella fedeltà a un amore, Rut trovò l’Amore del Dio vivente.
Rut, la straniera
Figlia degli dei
Rut, donna fedele:
Il mio popolo sarà il tuo popolo;
Il mio Dio, il tuo
La tua fedeltà, la mia.
Dolce nodo,
puro e tenace
di amore compassionevole e leale.
Amore per una creatura
che ti ha condotto al Dio Creatore
Rut, tenera e forte,
grembo che deve fiorire,
la primavera tornare.
Vigile e sottomessa.
La tua terra sarà riscattata.
Nessuno ti dirà più abbandonata.
Campo di grano,
le tue spighe saranno raccolte,
i tuoi covoni biondeggeranno ancora,
Rut, amica,
compagna del figlio perduto,
Madre del figlio ritrovato.
Jan Victor dipinge la sorpresa di Noemi allorché congedare le nuore, Rut si rifiuta di partire. Tutto è avvolto nei toni bruni di quella campagna brulla di Moab che, segnata dalla siccità e dalla scarsità di raccolto, spinge Noemi a tornare a Betlemme. Orpa, l’altra nuora, non è più che un’ombra, dal momento chela sua silhouette si perde dentro i toni caldi della campagna. La vediamo con fatica colpiti come siamo dalle due donne in primo piano e dal loro gesticolare. Noemi allarga le braccia sorpresa, mentre Rut con una mano si tocca il cuore e con l’altra addita la suocera amata. Il linguaggio delle mani racconta quello che ancora oggi è la professione di fede del «goim» cioè del pagano che chiede di entrare nel popolo eletto. Rut infatti con grande semplicità eppure profondità di cuore dice a Noemi: Il tuo popolo sarà il mio popolo, il tuo Dio sarà il tuo Dio. Giunta a Betlemme Rut da pagana moabita diventerà una pedina importante della discendenza del Messia. Ella che davanti a Booz, il parente più prossimo di Noemi e suo futuro sposo, si definirà serva. In ebraico il termine «serve» è identico a «madri» nelle consonanti e differisce solo per la vocalizzazione. Così il Targum afferma che Rut, pur ritenendosi indegna delle serve di Booz, sia stata paragonata da Dio, per sovrabbondanza di grazia, alle quattro madri di Israele (Sara, Rebecca, Rachele e Lia).
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La Samaritana, Marta e Maria, Eva e Maria
Ancora tre donne, tre poesie, tre opere d'arte a corredo di una veglia diocesana sulla donna, preparata da noi, per imparare a scoprire la bellezza biblica del mondo femminile. Dietro ai profili di queste donne scopriamo anche i nostri profili di donne, di cristiane, di monache.SAMARITANA, lo sguardo della misericordia
I samaritani non avevano grandi rapporti con gli ebrei, né i rabbini erano soliti intrattenere conversazioni con le donne. Gesù infrange entrambe le regole, parlando con una donna di temi, peraltro, altamente teologici. Gesù mostra nel suo atteggiamento quale sia la dignità della donna, la sua grandezza e la sua parità con l’uomo, anche quando questa donna vive in una situazione di peccato. Il suo sguardo misericordioso ha radicalmente cambiato il cuore di alcune donne che sono poi diventate aralde del suo Vangelo al pari degli uomini.
Pozzo di Samaria,
teatro di lunghe attese
del mio Dio stanco,
nell’ora assolata
della sete e del dolore.
Anche tu, donna
dai cinque mariti
e dal quieto filosofar
con gli stranieri
ritrova la Fonte:
«Son io che ti parlo»
e abbandonata
stanchezza d’anfore
corri all’annuncio:
«Venite
zampilla un’acqua eterna
che guarisce il mondo».
Un affresco del XIII secolo, del Monte Athos, raffigura quella che gli orientali chiamano Santa Fotina, dal greco photos, luce. La Samaritana è, per così dire, la donna post-contemporanea cui Gesù, affida sorprendentemente se stesso e il suo Mistero. Dopo l’episodio del battesimo questa è la prima rivelazione di Cristo del Mistero Trinitario. Nell’affresco del Monte Athos il pozzo ha la forma della croce. È quella la fonte dalla quale sgorgherà l’acqua viva che, fin d’ora, è in grado di illuminare lo sguardo della Samaritana. Questa donna fu scelta da Gesù per una grande rivelazione nonostante il suo vissuto chiacchierato. Nell’incontro con Cristo ella dimostra però capacità di accoglienza e coraggio di ricominciare, guardando in modo nuovo la sua vita.
MARTA E MARIA, l’accoglienza incondizionata
Marta e Maria (che, contrariamente alla moderna esegesi, per la tradizione antica corrispondeva alla Maddalena) sono le padrone di una casa amata di Gesù. Con Lazzaro esse sono le amiche più care del Salvatore. Tutta la tradizione cristiana ha identificato Marta con la vita attiva e Maria con la vita contemplativa. Esse hanno servito Cristo e gli apostoli, meritando di conoscere prima di altri la Natura divina del Cristo, grazie alla risurrezione del fratello Lazzaro.
Maria,
accoccolata e dolce
nel mare
ora quieto,
ora increspato e scuro,
di Te Parola.
Marta,
energica e fedele,
in casa
o nei giorni
infausti dell’attesa
di Te Salute.
O Betania,
in te riposa lieto
quel capo
che in terra
per sé non ha dimora,
ma spine.
Fa’ che
in noi, dal sepolcro acre
nell’ora
gridi
il credo schietto e amante
in Lui Signore
e trasudi
dalle mani aperte
nardo vero
nella cena
ove chi è amico trova
il Dio vivente.
Vermeer ci introduce nella casa di Lazzaro e subito siamo risucchiati dentro una tensione che si risolve in un dialogo circolare: Maria guarda Gesù, Gesù indica Maria col gesto della mano ma guarda Marta. Marta, a sua volta, guarda Gesù, ma tutta la sua persona è inclinata verso Maria. Le tre figure occupano per intero lo spazio della tela. Non ci è dato di vedere nulla della casa, non si scorge la presenza di Lazzaro, siamo fin dal primo sguardo introdotti dentro l'intimità di un dialogo serrato. Marta è tutta sbilanciata verso Gesù, impegnata in un dialogo aperto e franco, non teme di esternare i suoi dubbi: «Signore, non ti curi che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Provocata dall'atteggiamento della sorella Marta si confronta, misurando Maria col metro angusto delle sue vedute. Maria, del resto, provoca anche noi. La sua posizione ci obbliga a dirigere lo sguardo verso l'oggetto della sua attenzione: Gesù.
Le operose mani di Marta lasciano lo spazio a mani abbandonate e quiete dentro un rincorrersi di toni uguali e distinti: il manto blu del Maestro, la gonna verde-blu di Maria; l'abito bruno del Maestro, la camicia rosso-porpora di Maria. Il continuo richiamarsi delle tonalità degli abiti dice il progressivo identificarsi di Maria con il suo Signore: "Maria, seduta ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola" (Lc 10,39). Maria è totalmente orientata verso Gesù, vive della sua parola, nulla chiede, ma in tutto si rimette a lui, si affida. La scena è vista dal basso. Sul retro s'intravede - ed è l'unica concessione che ci fa l'autore - una porta. Al di là della quale vi è oscurità. Una porta aperta sul mistero che di lì a poco si dovrà consumare: Lazzaro, fra quelle mura conoscerà la malattia e la morte. Lazzaro lo conosciamo così: l'amico malato; l'amico che avvolto nel sonno della morte sarà svegliato. Prima della sua morte nessuno aveva parlato di lui. Lazzaro vive nella memoria per la sua morte. Vermeer ci lascia indovinare il dolore, lo sconcerto che si scatena in quella casa lasciandoci guardare dentro un porta semi aperta. Dietro l'antro buio di quella porta vive la presenza misteriosa del fratello.
MARIA la verginità feconda
Maria è la Donna, per eccellenza. Secondo il Vangelo di Giovanni Cristo la chiama così in due momenti fondamentali della sua missione: nelle nozze di Cana, prima rivelazione del suo essere il Messia che inaugura il banchetto escatologico e sulla Croce, quando rivela il suo essere Nuovo Adamo, capace di dare la vita e di riprenderla di nuovo. Quindi, come dicono i Padri: se Eva fu la madre dei morenti Maria è la madre dei viventi. Anche Dio per nascere ha avuto bisogno di una Madre e non come “utero in affitto” (come taluni hanno avuto il coraggio di affermare) ma per una fecondazione naturale benché misteriosa e senza concorso di uomo. In questo Cristo fu vero uomo, mentre nel parto della Vergine indolore e pieno di luce, perché frutto di un grembo senza peccato, Cristo mostrò la sua divinità.
Polla di feconda purezza,
il tuo grembo schiuse al mondo
l’alito della vita.
Nari di nuovo Adamo
respirarono in terra,
occhi di novella Eva
accarezzarono innocenti l’uomo,
O Madre della novità d’Amore.
Dolce nell’agire,
forte nella fede,
umile nell’essere,
parca nell’avere.
Tu sei l’arcano moto
d’ogni umana nobiltà di cuore.
Una miniatura salisburghese raffigura un insegnamento costante nel Medioevo, spesso rappresentato anche in un gioco per i fanciulli. Da un albero, rappresentante l’albero della vita, pendono delle mele, cibo del peccato originale, e delle ostie, cibo della salvezza. Adamo sta alla radice dell’albero di vita e il serpente ne cinge il tronco. Maria prende il frutto dell’ostia proprio accanto alla croce del Redentore e lo distribuisce ai salvati che, sereni, sono accompagnati da un angelo. Eva, invece, prende il frutto proibito dalla bocca del serpente e non dall’albero, e coloro che si nutrono di quel cibo sono accompagnati dalla morte.
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