Credo nello Spirito Santo

L'articolo che attesta la fede nello Spirito Santo, sigilla la rivelazione e l'opera di ricreazione compiuta da Cristo e insieme apre, potremmo dire, una nuova pagina della vita dei credenti.
Fonte:
CulturaCattolica.it
Vai a "Corso biblico"

L'articolo che attesta la fede nello Spirito Santo, sigilla la rivelazione e l'opera di ricreazione compiuta da Cristo e insieme apre, potremmo dire, una nuova pagina della vita dei credenti.
I primi due articoli della seconda sezione del Credo, infatti, recitano così: Credo nello spirito Santo e credo la Santa Chiesa Cattolica.
Lo Spirito e la Chiesa sono una realtà unita e congiunta, lungo i secoli la cristianità ha preso sempre più coscienza che il tempo della Chiesa è il tempo dello Spirito.

Per giungere a questa consapevolezza il cammino è stato lungo. Nei primi secoli la Chiesa fu impegnata a combattere le eresie che mettevano in dubbio la divinità di Gesù o, al contrario, la sua umanità, pur tuttavia già nell'antica formulazione del Credo la fede nello Spirito Santo è attestata con chiarezza.

Il lento cammino della presa di coscienza di chi mai fosse lo Spirito Santo è puntualmente registrato dalla storia dell'arte.
Nell'arte paleocristiana e bizantina, e possiamo pensare ad esempio al Mausoleo di Galla Placidia o al Battistero Ariano a Ravenna, lo Spirito veniva rappresentato attraverso quegli episodi biblici -del nuovo o del primo Testamento- che la tradizione considerava prefigure dello stesso.
Nel nuovo testamento la prima manifestazione della Trinità di Dio avviene durante il Battesimo di Cristo dove Cristo, entrato nelle acque, viene benedetto dalla voce del Padre, quale Figlio prediletto, e lo Spirito Santo, sotto forma di colomba si posa su di lui. Così i due battisteri ravennati, tanto quello degli ariani che il battistero degli ortodossi, presentano la scena del Battesimo di Cristo con al centro la colomba.
La soluzione iconografica dominante era, fin da principio, come oggi, quella della colomba.
Proprio l'attenta lettura della Sacra Scrittura incomincia però a rendere consapevole la Chiesa che, benché la colomba rappresenti un simbolo efficace, potrebbe non esprimere sufficientemente quella verità fondamentale dello Spirito come Persona, come terza persona della Trinità.
Nel credo il primo annuncio dello Spirito Santo avviene in relazione all'Incarnazione e alla Vergine Maria. Dunque se la colomba esprime felicemente l'idea dell'Altissimo che copre Maria con la sua ombra (l'ombra delle ali della Shekinà) in vista dell'Incarnazione, meno felicemente esprime l'immagine di quell'Amore che è persona che intercorre tra il Padre e il Figlio.
Cosicché si cominciò a rappresentare nell'arte le tre persone della Trinità perfettamente uguali e del tutto simili all'iconografia classica del volto di Cristo. Il dettato evangelico: «Chi vede me vede il Padre» venne applicato anche allo Spirito Santo. Nella chiesa di Sant’Agata a Perugia un affresco duecentesco addirittura raffigura una sola persona, Cristo, con tre volti: uno centrale e due di profilo. Sempre nell’ambito della Trinità tricefala ci fu anche chi, pensando allo Spirito come ruah (che in ebraico è femminile), come principio femminile in seno alla Trinità e associando lo Spirito tanto alla vergine Maria che alla vergine Chiesa, rappresentò (ed è il caso di un affresco della chiesa di San Giacomo a Urschalling in Baviera del XIII sec.) il volto centrale tra Padre e Figlio come un volto di fanciulla, cioè, appunto dello Spirito Santo, della ruah Adonai.

Una siffatta iconografia, anche a causa della stretta parentela con alcune divinità pagane (ad esempio il Giano bifronte), venne ripetutamente condannata, prima da Bonifacio VIII (XV sec.), poi da Urbano VIII nel 1628 e infine da Benedetto XIV nel 1745. Ne rimangono tuttavia alcuni esemplari specie nella zona di Perugia a certificare la riflessione della Chiesa sulla Trinità e, in particolare, sul ruolo della terza persona.
L'unica iconografia che prevede la raffigurazione dello Spirito Santo come persona, e che è ritenuta totalmente ortodossa, è quella che trova la sua fonte di ispirazione nel passo biblico di Abramo alle querce di Mamre. Qui, infatti, il patriarca riceve la visita di tre Angeli, ma parla loro insistentemente al singolare, rivolgendosi ad uno solo. Gli antichi padri cristiani e la tradizione della Chiesa passo dall'inizio ha illuminato la mente e la fede dei nostri antichi padri cristiani: l'episodio di Abramo alle querce di Mamre la Chiesa ha visto il Mistero del Do Trino che già si rivelava ad Abramo, manifestando si tuttavia ancora soltanto come l'Uno.
L'artista che con ineguagliabile profondità biblica e teologica ha indagato in questo mistero realizzando una delle più straordinarie opere di arte veramente Sacra fu Andreji Rublev.

Nella sua celebre Trinità egli medita proprio sul Mistero della visita ad Abramo alle querce di Mamre, vedendo nei tre angeli visitatori le tre persone della Trinità.

L'articolo che ci proponiamo di esaminare esprime la rivelazione della Terza persona della Trinità: lo Spirito Santo. Dio amando il Figlio si dona totalmente a lui, così il Figlio si dona totalmente al Padre e l’amore fra i due è così totale da essere a sua volta Persona, è Spirito e forma con il Padre e il Figlio, la Santissima Trinità. Una Trinità dove il Padre genera, il Figlio è generato e lo Spirito è spirato. Tre persone uguali e distinte che condividono totalmente la divinità.
Nell'episodio di Abramo alle querce di Mamre la Chiesa ha visto, dunque, il Mistero del Dio Trino che già si rivelava ad Abramo, manifestandosi tuttavia ancora soltanto come l'Uno.

Gli angeli siedono lungo i tre lati della tavola, il quarto lato, vuoto, è rivolto verso di noi e ci invita a sostare. Abramo non compare, anche lui è con noi, al di qua della mensa lungo il lato vuoto: egli fu il primo ad affacciarsi a quel Mistero trinitario ci cui noi oggi godiamo la rivelazione piena.
Colpisce che i tre angeli abbiano i bastoni. Chi vola non deve camminare. Rublev, seguendo il testo biblico, vuole indicare che i tre sono pastori e pellegrini. I Tre, visitando Abramo, vengono a far visita a tutta l’umanità che soffre nella carne, come Abramo soffriva per la circoncisione.

Dietro ad ogni personaggio ci sono dei simboli: una casa, un albero, un monte. Tre elementi che riassumono l’intera rivelazione, come vedremo.
Il primo elemento, la casa se nel suo senso immeditato rimanda alla casa di Abramo, in senso simbolico rimanda alla Casa del Padre. La Sacra Scrittura, del resto, per un ebreo inizia con la lettera beth, Bereshit = in principio. La lettera beth significa casa. All’apertura del libro Sacro, l’ebreo comprende immediatamente di essere giunto a casa, di aver accesso a quella Casa del Padre cui ogni uomo anela. L’elemento della casa indica chiaramente che il personaggio sotto rappresentato è Dio Padre. Per questo gli altri due angeli hanno l’inclinazione rivolta verso di lui, perché tutto procede dal Padre. Per questo, l’angelo, veste il manto d’oro, oro come tutto il fondo dell’Icona: egli è il Creatore di tutto e abita una luce inaccessibile. Anche l’oro è luce, ma una luce impenetrabile perché i raggi, rimbalzando sulle superfici dorate, accecano lo spettatore. Dio Padre è vestito di oro e di azzurro, il colore della divinità, del mistero.

Il secondo elemento è l’albero, con riferimento immediato alla querce di Mamre, ma con quello simbolico legato all’albero della vita. Non solo, quell’albero è più una vite che una quercia. Dunque l’albero della vite che è anche, in questo caso, albero della vita, identifica il personaggio centrale come il Cristo.
Egli infatti porta i colori delle sue due nature: la natura umana, rosso sangue, e la natura divina, con l’azzurro. Per lo sesso motivo, tiene una mano sulla tavola mostrando due dita: Cristo è vero Dio e vero uomo.

Il terzo elemento è la montagna. Una montagna singolare che quasi si china in adorazione, anch’essa, verso il primo Angelo. Il monte è il luogo delle manifestazioni divine: il monte Moria per Abramo, il monte Oreb per Mosè, il monte Sinai per il popolo, il monte Garizim, il monte Sion e, via via, sino al monte Tabor e al monte Calvario nel nuovo Testamento.
Protagonista delle teofanie sui monti è sempre lo Spirito che si manifesta in varie forme, fuoco, acqua ma, soprattutto vento. Per questo il monte dell’Icona si piega: esso è simbolicamente percosso dal vento, il vento della creazione e della Pentecoste. Quel monte ci avverte che il personaggio che sta sotto di lui è lo Spirito Santo.
Lo Spirito ha il manto verde vescica che è il colore della vita. È sua l’opera di rigenerazione, come ci avverte San Paolo, suo il tempo della Chiesa che vive fra le tribolazioni del mondo – come scrisse Agostino- e le consolazioni di Dio. Il suo abito è azzurro perché lo Spirito è Dio con il Padre e con il Figlio, uno nella divinità, distinto nella persona.
Anche lo Spirito Santo tiene la mano sull’altare, come il Cristo, mano che, proprio vicina al calice, ha la forma di un’ala di colomba. In quell’offerta c’è il vino di quella vite che sta dietro al Cristo, ma che significa il sacrificio del Sangue del Redentore. Di più, quel vino è il sangue del Redentore transustanziato grazie all’epiclesi dello Spirito Santo. Per questo Egli, come il Cristo, tiene la mano a forma d’ala sulla tavola.
Lo Spirito dunque è il protagonista del tempo della Chiesa, è lui che con la Chiesa lungo le vie tormentose della storia grida - come afferma l’Apocalisse -: «Vieni, Signore Gesù!». Chi ascolta, cioè chi si affaccia a questo lato della tavola direbbe Rublev, ripeta:«Vieni!»