Di là verrà a giudicare i vivi e i morti

È il settimo articolo del Credo, quello che chiude definitivamente la grande parabola narrativa apertasi con l’affermazione: Io credo in Dio Padre Onnipotente.
Fonte:
CulturaCattolica.it
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L’immagine di Cristo che siede alla Destra del Padre, asserzione del VI articolo del Credo, sigilla l’opera redentrice del Verbo. Colui che aveva lasciato il Padre, accettando il dramma dell’Incarnazione per amore degli uomini, è tornato al Padre con quella gloria che aveva presso di lui prima che il mondo fosse.

Da quel Cielo ritornerà non più nell’umiltà della Carne ma nella sua gloriosa potenza.
Lo sguardo gettato al futuro del settimo articolo del Credo è una sorta di cerniera tra la rivelazione compiuta con la morte dell’ultimo apostolo (Giovanni, tradizionalmente ritenuto l’autore del libro dell’Apocalisse) e la vita della Chiesa, la parusia.
Questo articolo, come è stato ribadito da alcuni documenti pontifici post conciliari, è quello che accomuna ebrei e cristiani. Anche noi aspettiamo il Cristo che verrà nella sua gloria e, in fondo, tante spinte millenaristiche, tante previsioni apocalittiche a cui anche le presenti generazioni sono state abituate, benché infondate, rimangono un forte richiamo a questa attesa che quando si assopisce nel cuore degli uomini non crea buone cose.

Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà ancora la fede sulla terra? Ricordo che la mia nonna paterna (la cui nascita datava 1889) era intimorita e quasi, se non fosse stato per la sua incrollabile fede, scandalizzata da quest’asserzione del Cristo. Certo ben più dei nostri avi noi capiamo il drammatico realismo di questa domanda di Gesù. Nel corso di meno di un secolo la secolarizzazione ha inghiottito intere generazioni svuotando del senso religioso legislature, modi comportamentali, cultura di massa. I mezzi di comunicazione sociale sono spesso i protagonisti di questa avanzata dissacrante.

Sfogliando però ingialliti libri di storia, scartabellando fra le pagine più antiche della storia dell’arte ci si accorge che simili tempi burrascosi e avanzate secolaristiche sono da sempre in atto e sono state acutamente avvertite dal popolo cattolico.
Pensando a un’immagine di riferimento per questo settimo articolo mi sono imbattuta in un’opera di Bosch, autore a me caro, intitolata: Trittico del Giudizio Universale.
Il primo pannello del Trittico la creazione di Eva, punto culminante dell’opera creatrice di Dio, e in un secondo piano la inesorabile caduta dei progenitori nel peccato. Il terzo pannello poi, mostra la distruzione totale della creazione affondandola dentro a una oscurità infuocata e caotica, che noi siamo soliti definire Inferno.
Bosch insomma disegna una parabola che passa dall’Ordine al Caos; da un mondo uscito immacolato dalle mani di Dio fino alla distruzione totale dello stesso. Al centro di questi due poli sta, come una sorta di balance obbligatorio, il momento del giudizio, l’attimo cioè in cui Cristo, tornando sulla terra, la coglie nel suo presente più realistico e oggettivo possibile.

Ciò che sorprende è che nessuno, ma proprio nessuno per Bosch, sembra avvedersi del suo apparire.
Nella parte più alta del dipinto, il Cielo risplende di un azzurro limpido e tersissimo e contrasta volutamente con l’oscurità che domina invece sulla terra. Nel cielo i dodici apostoli, quasi velato riferimento ai dodici articoli del credo, la Vergine Maria e san Giovanni Battista con la palma del martirio, implorano Cristo quasi per scongiurare l’inevitabile giudizio.
Sullo sfondo quattro angeli, gli stessi descritti nell'Apocalisse, suonano le trombe annunciando l'ora del giudizio universale.
Sotto invece la sciagura di un’umanità che, incurante dell'annuncio, persevera nel male. La critica vede già, in questo pannello centrale, l’anticamera di quell'inferno che si trova nel terzo pannello. Erik Larsen uno dei critici di Hieronymus Bosch addirittura afferma che nella concezione di Bosch: «Padre e Figlio non incarnano l'amore bensì sono gli esecutori di una giustizia severa, quasi mosaica». Benché a Bosch, pienamente figlio del suo tempo, non fosse estranea l'idea del giudizio come castigo egli, in questo pannello centrale, vuole indicare il livello di abbruttimento cui si condanna l'umanità quando, volontariamente, si allontana da quei dettami che già nel giardino dell'Eden le erano stati consegnati.

Per comprendere appieno il significato dobbiamo tornare al significato originario della parola «gryllos» nel Medioevo (e tardo Medioevo). Una rapida ricerca un qualunque moderno dizionario ci fornirebbe, sulla parola grillo questa indicazione: voce formata dal suono gri-gri che emette il maschio di questo genere di insetti. Ma, accanto al significato comune di grilo nel senso di insetto se ne aggiunge un altro, figurato, che indica ciò che è bizzarro, fantasioso (da cui l’espressione: avere grilli per la testa). Proprio questo secondo significato etimologico affonda le sue radici nell’antico termine greco gryllos che significa, porco. Da Plinio il vecchio conosciamo che il termine grillo, (appunto dal greco gryllos, cioè porco) fu utilizzato nel 300 a.C. dal pittore egiziano Antifilo per indicare figure umane grottesche e con sembianze porcine. Da qui poi, il vocabolo grillo fu esteso a designare ogni sorta di essere strano con testa grossa appoggiata su arti sproporzionati.
Il mondo che Cristo trova al suo ritorno è dominato da grilli, da creature cioè mostruose che insidiano l’uomo e, talora lo soggiogano. Del resto lo storico dell’arte lituano Jurgis Baltrušaitis , nel suo saggio dal titolo «Il Medioevo fantastico» scrive: Nell’ultimo atto della storia del mondo il grillo è uno degli attori principali.

Da questo punto di vista, anche pensando alle strane mire della manipolazione genetica così osannate da gran parte dei nostri contemporanei, la modernità – anzi di più la portata profetica - di un’opera come quella di Bosch è impressionante.

I grilli di Bosch sono associati al demoniaco consapevole, più consapevole dell’uomo del caos che si genera nella storia. Nei suoi dipinti sono spesso loro i veri protagonisti della scena, come appunto in questo giudizio finale.
Sotto la luce azzurrina, significante la pace serena del Regno di Dio, c’è una fascia oscura illuminata qua e là da fuochi sinistri che prepara alle piccole scenografie che si narrano nella parte più bassa della tela.

Qui troviamo un primo grillo che è il re della lussuria. Sopra il tetto piatto di un caseggiato collocato alla sinistra del dipinto, un drago adesca una giovane donna nuda, attorniata da un serpente. Questa donna, che potrebbe apparire in un primo tempo una vittima, è in realtà un tutt’uno con il drago le soffia da dietro, prova ne è il fatto che il musico dai tratti scimmieschi che le sta davanti la teme e si fa scudo per proteggersi con il suo mandolino.
Vengono alla mente certe scene anche recenti, in cui il cosiddetto sesso debole, usa del suo proprio copro, anzi della sua nudità per intimorire le masse e gli uomini esercitando di fatto un potere su di essi. In ogni caso Bosch preconizza il dominio della donna sull’uomo proprio attraverso la forza di attrazione della lussuria. Tuttavia anche la donna è una vittima perché vero protagonista della scena è il grillo dal vistoso copricapo rosso, simile alla mitria bizantina. Egli non pontifica certo la fede, come avvertono i due dischi di metallo che gli spuntano dalle tempie. Egli è all’origine di quella febbre orgiastica verso la quale guarda e che Bosch simboleggia con un enorme macina guidata da uomini nudi e da una sorta di macinino che pure sforna in continuazione corpi denudati.
Se questo grillo amministra un potere che pretende di elevare l’uomo (il piacere sessuale comporta l’illusione di una elevazione verso l’alto), più sotto un altro grillo amministra un potere più terreno e, quindi più materiale.
Proprio all’ingresso della struttura dal tetto piatto un altro grillo dalla testa enorme munita di elmetto con un volto cinereo e le gambe coperte da un’armatura, cavalca un pesce grosso che sta per inghiottire un pesce più piccolo.
È l’eterna lotta delle mafie e delle massonerie tese a dominare il mondo attraverso il controllo spietato dei giochi di potere, giochi che esse stesse suscitano per poter gettare scompiglio e rendere fragile qualunque sistema di governo. Anche qui abbiamo il musico che abbandona il suo mandolino per trafiggere, con un attrezzo da contadino, un povero malcapitato orante (forse un rappresentante della setta degli adamiti verso la quale si dice Bosch nutrisse delle simpatie). Il drappo rosso sopra il quale sta la vittima e il modo idi impugnare l’attrezzo da pare del musico fanno pensare a una sorta di bandiera, simbolo cioè di quel potere che non ammette confronti. Certo è che qui Bosch intende denunciare che in quell’ultimo giorno ogni forma di religiosità pubblica sarà vietata e la si pagherà con la vita.

Ma il più grottesco di questi grilli umani lo possiamo vedere lì a due passi. Si tratta di una enorme testa d’uomo dai lineamenti ben particolareggiati che cammina sopra due piedi altrettanto grandi. Bosch descrive così il grillo della maldicenza, tutta testa e piedi: il suo giudizio, infatti, non ha corpo ma fa molta strada. Non per nulla egli cammina dietro a dei condannati a morte, trafitti mortalmente dalle frecce dell’ingiuria, e portati in trionfo come trofeo della propria calunniosa vittoria. Ahimè, qui gli esempi si sprecano e basterebbe aprire qualunque giornale o qualunque canale televisivo per vedere puntualmente ripresentata questa scena. I veri processi, più che la magistratura, li fanno oggi i mezzi di comunicazione sociale i quali influenzano senza criterio l’opinione pubblica, sfornando ogni anno numerose vittime innocenti.

E le sorprese di Bosch non hanno fine. Se noi emancipati uomini del 2013 pensavamo di aver toccato l’apice della scienza che liberamente domina etica e pensiero ci sbagliavamo di grosso, nelle fiandre del 500 la battaglia in tal senso era già iniziata, siamo solo in ritardo di cinquecento anni. Lo dice un altro grillo boschiano che troviamo seguendo il percorso della maldicenza.
Eccolo lì il grillo nascosto nell’uovo. L’uovo rampante che si barcamena fra gli uomini con stivaletti di cuoio rosso e una freccia piantata in corpo. Questo grillo portando la forma dell’uovo, simbolo della vita, dice la volontà folle da parte dell’uomo di violare la vita, nelle sue origini, nella sua essenza. Dove questo grillo passa non c’è più uomo né donna, ma tutto si mescola in un mostruoso carosello di volontà di potere, questa volta non sulla sessualità semplicemente, e neppure su un potere di origine temporale, ma sull’essenza stessa della vita e dell’origine della vita umana.
Non ci sono parole di fronte alla drammatica modernità di Bosch.

Il carosello si chiude due grilli straordinariamente eloquenti.
Il grillo azzurro, simbolo dell’inganno, sottrae furtivo dalla mischia un individuo dentro una gerla. Il poveretto si sente rassicurato di esser caduto in buone mani dentro al caos che impera e non s’avvede, purtroppo di quale destino lo attende. Più oltre, infatti, l’ultimo grillo che firma l’opera di Bosch è un mostro acefalo che al posto della tesa possiede una lama di coltello tagliente.
Questa lama è simbolo dell’altisonanza di una predicazione (in termini moderni potremmo di dire della propaganda) che forma l’opinione pubblica e che recide le intelligenze degli uomini per farli più facilmente cadere nella gerla del potere imperante, facendoli sentire per giunta al sicuro.
Prima ancora della diffusione capillare della stampa e prima delle invenzioni moderne che hanno caratterizzato il sorgere dei mezzi di comunicazione che manipolano indisturbati l’opinione pubblica, Bosch aveva già denunciato i loro fini.

Questa stravangante interpretazione di Bosch del nostro settimo articolo del credo: il ritorno di Cristo nell’ora del Giudizio aiuta grandemente la nostra riflessione: nella storia c’è sempre l’ora di un giudizio. E quando il giudizio appare all’orizzonte, quando l’ora della verità si avvicina, come qui si avvicina Cristo fra le nubi nel suo cielo terso, emergono i grilli dell’illusione.
Il loro trionfo segna in realtà l’ora stessa della loro agonia.
Si salvano solo i santi, quelli che tengono stretta la verità assunta dalla fede come testimonia il trittico del Giudizio viennese di Bosch nei pannelli di chiusura.
Il trittico chiuso, infatti, presenta due santi: San Giacomo il maggiore e San Bavone, protettore delle Fiandre. Il primo racconta quale sia il vero pellegrinaggio della storia, quello cioè dettato dalla fede e dalla carità. Il secondo diventa l’esempio di come amministrare il potere. Egli di nobile stirpe e dedito ai piaceri mondani, dopo la morte della moglie si convertì, distribuì le sue sostanze ai poveri e si ritirò in Convento.

Forse l’anno della fede indetto da Benedetto XVI e così fieramente portato avanti da Papa Francesco ci sprona a vivere questo articolo del credo anche nell’oggi. Cristo è venuto, verrà e viene. Viene tutti i giorni e cerca in noi la fede di chi, consapevole dell’insidia del male (rappresentata dai grilli di Bosch), lascia parlare la vita più che la lingua.
Laddove testa e piedi si toccano mostruosamente, manca il corpo, manca cioè l’evidenza della vita, manca la testimonianza. Un mondo che si accontenta di parole, spesso a effetto, o di cammini illusori indicati più con immagini virtuali che con il realismo della testimonianza di vita, non andrà lontano. Sarà sempre teatro indisturbato dei grilli di ieri e di oggi.