Il credo fra Bibbia e Arte

19 ottobre 2012: nell'anno della fede affrontiamo il Credo nella formula apostolica. Primo incontro: i dodici articoli del credo e i dodici apostoli. L'educazione alla fede nell'Oratorio dei Santi Nazaro e Celso a Caltignaga - Novara. Qui una traccia del primo incontro.
Fonte:
CulturaCattolica.it
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il Credo, una preghiera fondamentale nella celebrazione eucaristica. Una preghiera che diciamo innumerevoli volte, anche in altre occasioni al di fuori della Santa Messa (come per esempio nell’acquisto delle indulgenze), ma sulla quale forse non abbiamo mai riflettuto compiutamente. Così, nel corso di quest’anno, guarderemo a come nell’arte sono stati espressi i contenuti del grande simbolo della fede. Prenderemo in esame, non la formulazione del Credo più comune nella celebrazione eucaristica: il credo niceno costantinopolitano, ma il Credo apostolico.

È difficile stabilire la data esatta in cui è stato redatto il Credo nella sua forma più breve, denominata simbolo apostolico, tuttavia alcuni indizi vanno a favore dell'origine apostolica di questa preghiera.
Nei primi secoli della storia della Chiesa il credo era il sigillo della propria appartenenza a Cristo. In un tempo in cui i cristiani di origine giudaica frequentavano comunemente la sinagoga, la confessione del Dio trino ed unico e la proclamazione del Kerigma,(Cristo, morto per i nostri peccati è risorto per la nostra salvezza), era il modo per riconoscere quanti avevano aderito a Cristo e ricevuto il battesimo. Anche in seguito, quando iniziarono a convertirsi uomini e donne di origine pagana, il Credo continuò a rappresentare una sorta di biglietto da visita del cristiano. La sacralità di questa preghiera e la segretezza che la circondava era tale che difficilmente veniva posta per iscritto. Il credo era detto a memoria e così tramandato.

La stessa parola simbolo, derivante dal greco syn – ballo cioè gettare insieme – trova la sua radice nel gesto semplice e antico di formulare un patto segreto. In antico due contraenti spezzavano una moneta in due parti e, nel momento dell’attuazione dell’impegno preso, essi dovevano esibire la loro parte unendola a quella del compagno, mostrando così efficacemente la loro identità e la loro fedeltà al patto sottoscritto. Per questo due momenti importanti nella vita dei catecumeni erano segnati da questa parola: la redditio symboli e la traditio symboli.

Nel VI secolo, in Africa, durante la quaresima (probabilmente nel corso della IV domenica) il vescovo (o il presbitero del luogo) recitava il credo e lo spiegava, chiedendo ai neofiti di impararlo a memoria. Questo era il giorno della redditio symboli, cioè della recita pubblica del credo. Nel giorno precedente al Battesimo, avveniva la consegna (traditio dal latino tradere= consegnare) e i catecumeni dovevano recitare a memoria il Credo per essere battezzati. Quando si cominciò a mettere per iscritto la preghiera del Credo, il gesto divenne ancora più simbolico. La tavoletta sulla quale stava scritta la preghiera veniva infatti spezzata e il catecumeno si impegnava a imparare a memoria la parte in suo possesso. Nel giorno del battesimo, il symbolo, cioè la tavoletta spezzata, veniva riconsegnata al presbitero e il catecumeno recitava a memoria il credo, prima di ricevere il Battesimo.

Il credo apostolico si sviluppa in 12 articoli, molto precisi nel testo latino originale (detto tradito romana) mentre diventano 15 nel testo che recitiamo attualmente (textus receptus). In quest’ultimo alcuni articoli (1-2; 6-7; 12-13) vengono accorpati per ottenere comunque il numero dodici.
È evidente che il dodici fa riferimento esplicito ai dodici apostoli ed è da questo duplice legame, articoli del credo e collegio degli apostoli che nasce l'usanza di porre sulle pareti delle chiese consacrate dodici croci benedette con dodici candele. Queste croci, che il Vescovo unge nel corso della consacrazione dell'edificio, rimandano appunto ai dodici articoli del simbolo apostolico e, dunque, alla totalità dei misteri che Cristo ha rivelato alla sua Chiesa.
La maggior parte delle nostre chiese sono arricchite di questi segni, ma sono per lo più ignorati dai fedeli o scambiati con la via crucis, mentre in realtà sono il segno forte dell’appartenenza di quella comunità alla fede degli apostoli garantita dal Vescovo del luogo.

Un passaggio significativo che documenta questa usanza lo troviamo nei pressi di Novara, in una di quelle cappelle quattrocentesche, sul tipo delle Mistadine, che confortavano il viaggio dei pellegrini. Un oratorio simile alla nostra celletta di Talamello.
Nella frazione di Sologno, nei pressi appunto di Novara, si trova una cappella ad una sola navata lievemente trapezoidale, coperta da coppi e sostenuta da quattro incavallature lignee a capriate.
Ci accoglie una facciata a capanna, piuttosto spoglia, ma entrando siamo accompagnati da due teorie di santi a destra e a sinistra, mentre al centro troviamo l'abside semicircolare interamente affrescato su tre registri.
Tutti gli affreschi sono attribuiti a due pittori attivi in area novarese e valsesiana nel quattrocento, Giovanni e Luca De Campo. Ma l'importanza di questa cappella è data appunto dal tema iconografico sviluppato nei tre registri dell'abside.

Campeggia nel catino dell’abside, ovvero nel registro superiore, il Cristo Pantocratore: è lui il centro di quell’universo che l’abside stessa ha la funzione di rappresentare. Il Cristo è dentro una mandorla di luce, ma mostra chiaramente le sue piaghe. La mano destra, sollevata e benedicente, dice il Mistero della Trinità, ma indica anche (nelle due dita sollevate, le due nature di Cristo: quella umana e quella divina. Egli è il Verbo fatto carne e, a comprova di ciò, tiene nell’altra mano il libro della parola. Le pagine aperte mostrano il detto evangelico «Io sono la luce del mondo. Sono la via, la verità e la vita» Mentre le dita del Cristo che reggono il Vangelo sono le stesse usate dal sacerdote per reggere l’ostia: il pollice e l’indice. Una cintura con il nodo di Salomone stringe l’abito del Pantocratore: egli è Colui che solo può aprire e chiudere senza possibilità di mutamento.
Oltre la volta, sull’arco dell’abside un’annunciazione spiega l’origine misteriosa dell’Incarnazione del Verbo.

Dello straordinario Mistero del Verbo fatto carne, abbiamo notizia attraverso gli evangelisti. Attorno al pantocratore ecco, infatti, i quattro evangelisti con il loro simbolo: l’angelo, per Matteo, l’aquila per Giovanni, il toro per Luca e il leone per Marco. A fianco i due titolari della chiesa: i santi Nazario e Celso, martiri cari alla tradizione ambrosiana e in primo piano il committente in devoto raccoglimento che, con i due patroni della chiesa, in-segna ai fedeli lì convenuti la verità di ciò che ivi è rappresentato.

Il registro intermedio presenta la teoria degli apostoli, ma non secondo gli elenchi che troviamo nei Vangeli, bensì secondo l’elenco che ne fa la liturgia nel Canone Romano:
Pietro e Paolo, Andrea, Giacomo, Giovanni, Tommaso, Giacomo, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Simone e Taddeo. A questi va aggiunto Mattia, l’apostolo scelto in sostituzione a Giuda.

Ciascun apostolo regge un libro sopra il quale, oltre al proprio nome, reca scritto un articolo del credo.
Pietro reca sul libro la scritta: Credo in Deum Patrem omnipotentem. Tiene le chiavi è lui che apre il grande portale della Fede. Il primo articolo del credo è anche quello fondamentale, così come Pietro è fondamento della Chiesa voluta da Cristo. L’apostolo guarda verso la parte sinistra della navata, la parte assegnata nel Vangelo a coloro che rischiano la perdizione, egli scruta i fedeli quasi chiedendo loro ragione della fede.

Andrea, sul libro porta scritto: Et in Iesum Christum Filium eius Dominum nostrum. Andrea tiene alto il vessillo del croce, lui che subì- come il fratello Pietro- la stessa morte del Salvatore, testimonia a tutti fin dall’inizio che il Cristo, il Figlio di Dio è morto sulla croce per la nostra salvezza. Adrea poi non guarda i fedeli, ma si volge verso Pietro, è obbediente esattamente come il Figlio al Padre.

Giacomo reca la scritta: Qui natus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine
Giacomo ha il cappello dei pellegrini, la conchiglia e il bastone è patrono dei pellegrini e il primo pellegrinaggio della storia della Salvezza è stato quello dello Spirito nel grembo di una Vergine. Giacomo poi, è il primo a seguire le orme di Cristo, morendo martire per lui. Egli, infatti, guarda diritto verso la porta da dove entrano i fedeli, i quali dovevano essere per la maggior parte proprio pellegrini.

Giovanni porta scritto sul libro: Qui sub Pontio Pilato crucifixus est et sepultus.
Giovanni guarda il libro di Giacomo perché Colui di cui annuncia la morte e la sepoltura è quello stesso che fu concepito di Spirito Santo. Giovanni è anche colui che ha posato il capo sul cuore di Gesù comprendendo per primo che Gesù stava per essere tradito. Egli ha come attributo la penna a motivo del Vangelo che gli viene attribuito.

Tommaso reca la scritta: Tertia die resurrexit a mortuis.
Non poteva che essere Tommaso il profeta della risurrezione, lui che ha messo il dito nella piaga del Risorto. Per questo sta vicino a Giovanni (nei Vangeli non hanno questa sequenza) lo guarda e alza la mano verso l’alto, quella stessa mano ha toccato il corpo del Salvatore e che attesta la verità testimoniata dall’Evangelista.

Giacomo il fratello di Gesù: tiene un libro con scritto Ascendit ad caelos. Anche lui, come l’altro Giacomo, guarda i fedeli. Questo apostolo, era cugino di Gesù, e con Giuda Taddeo doveva assomigliargli molto. Egli è quell’apostolo che scrive la lettera, detta appunto di Giacomo, dove invita i cristiani alla fede. Per questo tiene il libro con le due mani e sembra comunicare a tutti lo stupore che Gesù, il Cristo, proprio quello che era per lui cugino, siede alla destra del Padre.

Filippo e Bartolomeo hanno sui loro libri rispettivamente queste scritte: Unde venturus est iudicare vivos et mortuos, e Et in Spiritum Sanctum. Il primo, a cui Gesù ha detto chi vede me vede il Padre, regge diritta la croce e guarda i fedeli del lato destro della navata (il lato della salvezza). A costoro egli sembra dire che proprio dalla croce scaturisce il giudizio di misericordia e il volto del perdono che essi incontreranno nell’ultimo giorno.
Anche Bartolomeo guarda i fedeli del lato destro, con la postura del corpo sembra però essere totalmente in accordo con Filippo. Nella mano destra tiene il coltello con il quale fu martirizzato, la tradizione infatti dice che Bartolomeo morì scuoiato vivo, l’apostolo vuole così indicare che lo Spirito Santo sostiene i fedeli, che guardano alla croce, nelle battaglie della vita, fino a quella suprema del martirio.

Matteo reca un libro con la scritta: Sanctam ecclesiam, anche lui regge la penna essendo un evangelista. Il Vangelo di Matteo è quello più ecclesiale, il più ricco di citazioni bibliche. Il suo Vangelo culmina con le parole di Gesù Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del Mondo, per questo Matteo guarda verso l’altare. È quello il luogo in cui la Ecclesiam Sanctam si edifica e in cui Cristo rimane con i suoi fino alla fine: l’Eucaristia.

Simone porta sul libro la scritta: Remissionem peccatorum. Il libro di Simone è il più in alto di tutti, pare un vessillo, egli guarda verso la porta come Pietro e si batte il petto. La sua testimonianza sembra rincuorare i fedeli di questa certezza: i nostri peccati, grazie al Sacrificio dell’altare ci sono perdonati.

Gli ultimi due Giuda Taddeo e Mattia sono in dialogo, ancora più esplicitamene di Filippo e Bartolomeo. Anche le scritte sui loro libri sono in stretta relazione: Carnis resurrectionem per il primo; Vitam aeternam per il secondo.
Giuda Taddeo, pure somigliantissimo a Gesù, come il fratello Giacomo il minore, guarda verso Mattia e alza la mano come per attestare un giuramento. Egli che ha conosciuto Cristo secondo la carne, essendo il cugino di Gesù, sa che questa sua carne non potrà morire essendo stata in vita così unita a quella del Signore. Mattia risponde a Giuda con un cenno della mano verso l’alto. Egli è entrato per sorte nel collegio dei dodici, ma sa che benché gli sia stata fatta una grande grazia, la dignità più grande non è quella bensì quella di essere ammessi alla vita eterna. La vita di lassù, quella che indica col dito, cioè la vita in cui vive già il Pantocratore è la vera grazia che ci attende.

Ecco quindi documentata in una pittura volta ad educare la fede dei credenti il legame profondo tra il Credo e i dodici apostoli che risplendono nel mondo come luci di quell’unico vero sole dell’universo che è Cristo.
In corrispondenza alla teoria degli apostoli il registro inferiore, l'ultimo, presenta le sette opere di misericordia corporale: dar da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, alloggiare i pellegrini, vestire gli ignudi, visitare gli ammalati e i carcerati, seppellire i morti.

Anche qui le corrispondenze non sono casuali: Sotto Pietro e Andrea, Giacomo il maggiore e Giovanni troviamo le prime due opere di misericordia: dar da mangiare agli affamati e dar da bere agli assetati.
Nel primo affresco il pane è chiaramente un pane eucaristico e il cristiano che lo offre esce da una chiesa. Pietro e Andrea sono testimoni di quel Padre che dà a noi quel Pane quotidiano che è Gesù. Anche nel secondo affresco c’è un chiaro rimando eucaristico agli assetati, infatti, non viene offerta dell’acqua bensì del vino. Giacomo e Giovanni offrono quel fiume di grazia sgorgato dal costato di Cristo: sangue e acqua, come attesta il quarto Vangelo.

L’affresco successivo ci invita ad alloggiare i pellegrini, terza opera di misericordia. Qui un pellegrino con lo stesso bastone e la stessa conchiglia di san Giacomo il maggiore, viene ospitato dentro una chiesa. Questo affresco ripropone la situazione della stessa chiesa di Sologno nata per accogliere i pellegrini e ristorarli, non solo nei bisogni materiali, ma soprattutto nel bisogno essenziale della salvezza. Sopra questo terzo affresco, allora, ci sono Filippo e Bartolomeo con il loro rimando al giudizio finale e alla rigenerazione offerta dallo Spirito Santo.
Il quarto affresco: Vestire gli ignudi è purtroppo corrotto e quindi ci è impossibile sapere quali riferimenti agli apostoli potesse avere.

Tra Bartolomeo Matteo e Simone, si collocano le altre due opere di misericordia: vistare gli ammalati e i carcerati. Bartolomeo patrono delle malattie della pelle, molto frequenti in chi intraprendeva un viaggio e si esponeva ad ogni tipo di contagio, e Matteo con il suo riferimento alla Chiesa Santa, ricordavano ai fedeli che uno dei ministeri della Chiesa è quello di imporre le mani sui malati per guarirli.
L’apostolo Simone invece, proprio sopra all’affresco della visita ai carcerati, con il suo libro tenuto ben alto e la scritta sulla remissione dei peccati assicurava a tutti che non c’è colpa che non posa essere da Dio perdonata, grazie all’intercessione della Chiesa.

Infine sotto gli ultimi due apostoli in dialogo sulle cose ultime, la risurrezione della carne e la vita eterna, non poteva che esserci la settima opera di misericordia: seppellire i morti. Il culto dei morti esprime più di ogni altra cosa la speranza nella vita eterna e la dignità di questa nostra carne mortale che il figlio di Dio ha preso su di sé, portandola fino alla destra del Padre.

Questo terzo registro, pur essendo il meno importante dal punto di vista spaziale, si presenta come quello che radica le verità del cielo a quelle della terra. Se le verità del Cielo sono rappresentate dall’abside, con il mistero dell’Incarnazione, morte e risurrezione del Signore, testimoniato dagli Evangelisti, dai martiri e dai comuni fedeli (qual è il committente dell’opera), se la garanzia della veridicità di questi eventi e del legame profondo della Chiesa con il suo Fondatore, cioè Cristo, è attestata dal registro di mezzo con la teoria degli apostoli, il radicamento di questa fede e la sua continuità nel tempo avviene mediante le opere di misericordia in cui Cristo stesso si è identificato.

Non va dimenticato che questa biblia pauperum si trova collocata dietro l’altare della celebrazione: il fedele o il pellegrino che transitava in questo oratorio veniva così educato circa la fede della Chiesa che, trasmessa dagli apostoli, si comunica agli uomini mediante i Santi Misteri, l’esempio dei martiri e dei santi e le opere di carità.
Ben prima dunque delle questioni luterane la Chiesa professava la certezza che non la sola fede, né le sole opere salvano l’uomo, ma le opere della fede vissute in comunione con la Chiesa di Pietro.

Per ulteriori approfondimenti ascolta la trasmissione su Radio Mater del 2 ottobre 2012