Il Credo fra bibbia e arte: Dio Padre
Il primo articolo del Credo riletto alla luce della storia dell'Arte e della rappresentazione di Dio Padre nel corso dei secoli rivela una sorprendente vitalità. Da come l'uomo guarda Dio, da come se lo immagina è possibile comprendere più a fondo chi è l'uomo, quali sono le sue miserie e le sue grandezze. Domani su Radio Mater alle ore 21!- Autore:
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Io credo in Dio Padre Onnipotente creatore del Cielo e della terra.
Questa prima affermazione della professione di fede è anche la più importante, quella fondamentale. Come recita il catechismo al nº 199: tutto il Simbolo parla di Dio, e, se parla anche dell'uomo e del mondo, lo fa in rapporto a Dio. L'uomo, come dice San Tommaso, è capace di Dio, questa è la sua grandezza e dignità nei confronti di tutte le altre creature. Per questo percepire la presenza di Dio e credere in lui è un dono straordinario segno di profondità di spirito e di intelligenza acuta e buona.
Wiligelmo, scultore di grande livello attivo fra l’XI e il XII secolo, ci ha lasciato, nel ciclo di lastre del Duomo di Modena, una delle testimonianze più commoventi della fede del popolo cristiano in Dio, grande e Onnipotente eppure percepito come Padre (fig. 1).
Nel rilievo che riguarda la creazione di Adamo, Wiligelmo scolpisce anzitutto Dio padre in una mandorla di luce. Come recita il credo niceno costantinopolitano Dio è: Dio da Dio e luce da luce. Ebbene questo Dio ineffabile ha le inconfondibili fattezze di Cristo e tiene fra le mani il libro della Parola nelle cui pagine si trova scolpita la citazione evangelica: «Io sono la luce del mondo, la via vera, la vita perenne».
Nei primi secoli della Chiesa, la sensibilità dominante, fedele alla radice ebraica del Signore Gesù e dei suoi primi discepoli, non raffigurava mai Dio Padre. Il Padre era rappresentato sovente da una mano. Come dimostrano ad esempio i mosaici di Ravenna o di San Clemente in Roma (figg. 2-4). Quando però, dopo la lotta iconoclasta, l’arte cominciò ad avere un grande ruolo nell’educazione alla fede si sentì l’esigenza di rappresentare il Padre con il volto di Cristo, forti del dettato evangelico: «Chi vede me vede il Padre»
Nello stesso rilievo di Modena (fig. 1) si vede poi questo Dio, Onnipotente e Creatore, dare forma e vita ad Adamo, un Adamo in tutto simile a Dio nelle fattezze, ma soprattutto un Adamo che viene creato in piedi, come un tu di fronte ad un altro Tu. L’ebreo non prega mai in ginocchio ed esprime nello stare in piedi la dignità di figlio che sta davanti a Dio come davanti a un «Tu» che gli è padre. Wiligelmo con la forza espressiva della sua scultura ci racconta della grandezza dell’uomo che fin dall’origine percepisce Dio come Padre, e comprende se stesso come figlio con una dignità senza pari rispetto alle altre creature.
Dio, nella storia della Salvezza, si rivela per la prima volta con il titolo di Onnipotente, ad Abramo: «Io sono l’onnipotente (’El Shaddaj): cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò numeroso molto, molto». Abramo Parla così proprio ad Abramo che, nella Bibbia, è l’amico di Dio per eccellenza, l’uomo che Dio ha condotto al pieno compimento della sua umanità. Questa Onnipotenza Abramo la scopre proprio nel momento in cui gli viene restituito Isacco ed è una Onnipotenza, quindi, di amore.
Anche a Mosè, l’unico a cui Dio rivela il suo nome proprio, Dio si presenta come l’Onnipotente: Dio parlò a Mosè e gli disse: Io sono il Signore! sono apparso ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe, come Dio onnipotente (El Shadday), ma con il mio nome di Signore (JHWH) non mi sono manifestato a loro (Es 6,3). Così i maestri rabbini commentano: Il Santo, benedetto Egli sia disse a Mosè: […] Io sono chiamato secondo i miei atti. A volte sono chiamato ’El shaddaj [Dio Onnipotente], o Ze’vaot [Eserciti] o ’Elohim [Dio] o JHWH [Signore]. Quando giudico l’umanità sono chiamato ’Elohim, quando faccio guerra contro il malvagio sono chiamato Ze’vaot, quando sospendo il peccato dell’uomo sono chiamato ’El Shaddaj, quando ho compassione del mio mondo sono chiamato JHWH, perché il tetragramma sacro non significa altra qualità se non la misericordia, come è detto: JHWH, JHWH Dio pietoso e misericordioso” (Es 34,6) (Esodo Rabbah)
L’onnipotenza di Dio è onnipotenza nell’amore e nel perdono, forse per questo, nella Cattedrale di Chartres, la stessa scena della Creazione di Adamo (fig. 5) viene pensata in modo diverso da Wiligelmo: Dio Padre, sempre col volto di Cristo, è seduto, mentre Adamo è accovacciato ai suoi piedi con il capo sulle ginocchia quasi chiedendo anticipatamente quel perdono che Dio gli concederà in Cristo.
In questo modo Creazione e Redenzione, come anche aveva ricordato Giovanni Paolo II nel suo studio sull’attuazione del Concilio Vaticano II, si sovrappongono svelando all’uomo la dimensione nuova dell’incontro con Dio, possibile solo nella fede giudaico –cristiana.
La potenza della fede della Chiesa nel Dio creatore che vuole incontrare l’uomo, è messa straordinariamente in luce nell’opera michelangiolesca della Cappella Sistina. Un’opera universalmente amata, anche da quanti sono lontani dalla nostra fede.
Eppure il grande Michelangelo, scultore, artista e teologo, rivela proprio in questa sua opera il dramma di una umanità che comincia a percepire Dio sempre più lontano e sempre meno Padre.
Da un lato i primi quattro affreschi (fig. 6), quelli appunto che raccontano la creazione, guardati insieme rivelano la rapidità dell’azione di Dio. Dio è simultaneamente Parola e gesto, pensiero e atto. In lui non c’è divisione né frazione. Le mani del Padre , che per Sant’Ireneo sono il Verbo e lo Spirito, segnano i confini della campitura degli affreschi e dicono che tuto è stato compiuto per mezzo del Verbo e nello spirare della ruah Adonai (dello Spirito di Dio).
Il primo degli affreschi poi, quello della separazione della luce dalle tenebre, collocato proprio vicino all’altare della celebrazione (fig.7), Dio occupa tutto lo spazio dell’affresco, quasi a dire che prima di ogni atto creatore tutto era ricolmo dell’infinita “corporeità” di Dio. Sarà nelle scene successive che si assisterà al ritrarsi di Dio per lasciare il posto alla creazione.
Dio era tutto, il suo ritrarsi, in cui si adombra già la Kenosi del Verbo (cioè la venuta del Verbo nella nostra carne), ci ha fatti esistere. In lui noi siamo ed esistiamo.
Ma nell’affresco della creazione di Adamo (fig. 8), Michelangelo, dipinge il progenitore, non in piedi come Wiligelmo, ma mollemente adagiato al suolo, fatto di terra (cioè Adam come adamah che è la terra), ma con il volto diretto a Dio (cioè verso quell’adameh che è la somiglianza con Lui).
Eppure qui Dio Padre, forse per la prima volta nella storia dell’arte, appare decisamente vecchio. Non ha più il volto di Cristo ma è l’antico dei giorni, di cui parla la Scrittura. Irrimediabilmente lontano dalla vigorosa giovinezza di Adamo.
In questo senso le due dita che si sfiorano, così ripetutamene usate nell’ambito delle illustrazioni, esprimono sì il momento in cui la vita divina viene insufflata in Adamo, ma raccontano anche il dramma di un Adamo che si stacca da Dio emancipandosi.
È proprio qui, negli anni della rinascenza di Michelangelo, che l’uomo e la sua ragione cominciano a diventare il vero centro della polis, della civiltà e della cultura cristiana.
Forse per questo, e per quella passione che serpeggiava fra gli artisti i quali non esitavano a recarsi nei cimiteri per operare delle autopsie sui cadaveri al fine di comprendere meglio l’anatomia umana, forse per questo il rigonfiamento del manto di cui è avvolto Dio Padre ha la forma di una sezione del cervello (fig.9). Sì, l’uomo è capace di Dio, ma quest’uomo capace di Dio è anche capace del dramma della sconfessione di questo Padre, Onnipotente nella Amore e creatore.
Il credo nelle sue prime battute ci riporta sempre all’essenzialità di questa verità oggettiva: noi siamo creature, siamo un tu davanti a Dio, un misterioso connubio di confidenza e timore, che ci rende unici fra tutte le creature esistenti.
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