Il Credo fra Bibbia e Arte: Incarnazione - 3

Nel Trittico di Mèrode contempliamo il mistero del concepimento verginale di Cristo, nella Sacra Famiglia con Angeli di Rembrandt il divino Neonato e la sua Vergine Madre. Due opere distanti fra loro per secoli e cultura, ma vicini in molte intuizioni e simboli.
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Gesù il Cristo, nato da Maria Vergine, in un’opera di Rembrandt

Con un salto di oltre due secoli potremmo ora vedere i medesimi principali simboli dentro un altro dipinto, questa volta raffigurante una natività. Si tratta della Sacra Famiglia con gli angeli di Rembrandt (1645, olio su tela, Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo).
In quest’opera San Giuseppe, a differenza del Trittico di Mèrode, condivide la stessa stanza di Maria ed è evidente che il matrimonio è avvenuto. Tuttavia anche qui, san Giuseppe è tutto intento al suo lavoro e sembra rimanere all'esterno del rapporto tra la Vergine Madre e il suo divin Figlio.
Non lavora però a una trappola per topi, ma a un giogo. Il giogo è l'attrezzo che si colloca sui buoi perché possano trainare i carri con peso equilibrato e sforzo costante. Il giogo era, non a caso, simbolo della legge -come anche Gesù ricorda "il mio giogo è soave e il mio carico leggero". Il bue era simbolo di Israele perché il popolo sta, è vero, sotto il giogo della legge, ma questo giogo è portato per un lavoro a servizio di un Padrone che è Dio e di una vigna che è il popolo stesso. Del resto anche la parola “coniugi”, significa "stare sotto lo stesso giogo". Cioè essere uniti per un lavoro, un compito.
Diventa chiaro quindi l'insegnamento: la Sacra Famiglia era unita per un compito. Ed è la scena centrale, quella di Maria col Bambino, che delinea questo compito.
Forse come poche volte nella storia dell'arte la Madonna culla il Figlio con in mano il libro della Parola.
La luce che irrompe nel quadro e il movimento di Maria rendono evidenti questi due poli: la Parola e il Figlio. L'uno illumina l'altra e viceversa. Maria impara dalla parola il mistero di quel Verbo Incarnato, ma impara altresì dal Verbo Incarnato il senso ultimo e definitivo di quella Parola.
Anche qui, come nella pala di Mèrode, abbiamo una evidente macchia rossa nel centro ideale del dipinto, ma è assegnata a Gesù. La carità di Dio riposa sulla terra dentro a un bambino da nulla, un bimbo vero, nato da donna. Gli oggetti sparsi sul pavimento della casa illuminati da un fuoco ardente, ci raccontano di lui. Gesù è il vero roveto che arde senza bruciare, lui rivela all'uomo non solo il nome di dio ma anche il volto di Dio, un volto di grazia e di misericordia nascosto però sotto un volto umano. Vicino al fuoco distinguiamo, infatti, un orinatoio segno della reale umanità del Cristo.

Tra le modeste pareti di questa casa irrompe il Cielo. La luce che inonda Maria e il figlio proviene dall'alto scorgiamo infatti, in alto a sinistra, angeli danzanti che sembrano indicarci qualcosa.
Il primo, quello più evidente, quello ormai già dentro la casa, apre le braccia a forma di croce. È lui che ci narra il prezzo di quella carità che Cristo è venuto a portare, per sconfiggere il peccato dell'uomo. Accanto a lui però un altro angelo, mentre guarda il divino Infante, addita una meta più alta. Nell'altra mano tiene una ghirlanda di fiori segno di vittoria, mentre un drappo bianco sembra scivolare dalla luce del cielo alla luce di quel bambino. Questo angelo è una chiara metafora della risurrezione. Il Verbo di Dio, concepito di Spirito Santo e nato dalla Vergine, che crocefisso morirà come ogni uomo è lo stesso Cristo, Figlio del Padre, che risorgerà il terzo giorno (V articolo del credo).
Ma c'è un ultimo angelo che sigilla l'intera scena. Ne scorgiamo solo la nuca ed è l'unico rivolto verso l'interno della luce. Mentre un quarto angelo, del quale pure vediamo solo il volto, si sporge e rimane estatico a guardare il Bambino, l'angelo di cui scorgiamo la sola nuca fissa lo sguardo verso il Padre. Ecco di chi è Figlio, questo nato da donna, non di Giuseppe, ma del Padre che è nei cieli.
Questo angelo guarda verso l’origine di tutto e spinge anche noi a non fermarci alla croce e, paradossalmente neppure alla risurrezione, ma ad andare al cuore del messaggio di Cristo che è l’incontro col Padre.