Bonhoeffer: lo sguardo nuovo dell'amicizia
Vita Comune, il testo bellissimo e sempre attuale di Dietrich Bonhoeffer, offre l'occasione per avviare una riflessione sulla dimensione comunitaria della vita monastica. Le sfide, i passi, soprattutto lo sgaurdo nuovo sulla realtà che essa chiede.- Autore:
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È il 1938 quando Dietrich Bonhoeffer, pastore luterano, viene invitato a occuparsi di una comunità di giovani che devono prepararsi al ministero pastorale, a Finkenwalde in Pomerania. Dopo un anno di esperienza viene stampata Vita in comune, un'opera che attinge le sue linee guida dall'osservare quanto per l'uomo, soprattutto cristiano, sia necessaria la comunione di vita senza però negare le difficoltà e le implicanze pscologiche della vita in comune. Mentre la Riforma da secoli aveva bandito ogni forma di vita comune con finalità soprattutto religiose, avendo escluso il livello della mediazione nel rapporto con Dio, Bonhoeffer ne sottolinea la necessità. Il cristiano, come il suo Maestro, per vocazione vive come disperso per cui gli è necessario il conforto, la condivisione, il camminare insieme ad altri cristiani. La comunione con altri è quella dimensione della vita che rende simili a Dio. Tuttavia, specie nella vita comune, si confonde la comunione con la condivisione di ideali, di sentimenti, di emozioni. Questo è un rimanere in quella dimensione solo umana della vita e delle relazioni che fa fuori il Mistero e il dono. La comunione è dono perchè s'innesta nella presenza di Cristo tra gli uomini. Perciò Bonhoeffer può dire che la comunità non è un ideale umano ma una realtà divina. La comunità è una realtà pneumatica, perchè creata dallo Spirito Santo. Difatti la prima comunità cristiana nasce nel cenacolo, a Pentecoste. È da meravigliarsi come fin da tempi antichi, dai primi cenobi, uomini o donne provenienti da culture diverse, paesi diversi, con storie ed età diverse, possano vivere insieme pur nelle difficoltà della vita in comune. C'è una realtà divina che raccoglie un gruppo di persone e si fa grembo delle loro vite. Allora Bonhoeffer chiarendoci questo ci illumina su come vivere la vita in comune.
Quello che incontriamo tutti entrando in monastero è lo scontro tra l'idea della comunità e la realtà. Ma questo accade anche nel matrimonio. Vivendo alla luce di un'idea si subisce subito lo scandalo del limite. Il limite dell'altro, il limite del tempo, il limite dello spazio, il limite del lavoro, il limite della preghiera, il limite dei rapporti, il limite dell'esperienza, addirittura il limite del carisma. Tutto viene sottoposto a giudizio, vagliato alla luce della comunità ideale. Questo scontro crea tante ferite in se stessi e negli altri, fino al rischio di rifutare una chiamata; tuttavia senza questo scandalo non c'è verità nella vocazione. Qual'è la soluzione? Uno sguardo cambiato. Guardare l'altro come segno di Cristo per me significa che ciò che unisce me e l'altro è lo stesso Cristo che si è donato per me e per l'altro, peccatori e fragili in egual misura. Siamo stati perdonati, amati e chiamati dallo stesso Cristo. Io porto il limite dell'altro, ma l'altro porta il mio, mentre Cristo porta entrambi dentro la stessa vita di grazia.
Cambiare lo sguardo significa vedere ciò che c'è e non ciò che manca, cercare ciò che unisce e non ciò che divide, giustificare e non accusare, portare i pesi su di se e non scaricarli sugli altri. È un rovesciamento che si chiama conversione e che mina alle radici quell'idea di comunità impregnata di sentimentalismi, giustizialismi, pscoligismi specie in queste ultime generazioni fragili affettivamente. Ogni ideale umano- scrive Bonhoeffer- che venisse portato in una comunità cristiana impedisce la vera comunione e deve essere spezzato.
Capire e interiorizzare questo apre alla vera donazione, alla gratuità, al ringraziamento, al compimento della Vocazione. È Cristo che fa, noi dobiamo solo lasciarci fare.