Edith Stein: la rinuncia per il tutto
Riflessioni su La Settima stanza- Autore:
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«Se vuoi essere tutto devi rinunciare ad essere qualcosa». Questa frase, di san Giovanni della Croce, fu cara a Edith Stein, un’ebrea tedesca che, convertitasi alla fede cristiana e cattolica, entrò nel Carmelo di Colonia nel 1933. Questa stessa frase risuona, pronunciata da una monaca carmelitana, nel film La settima stanza, e viene rivolta alla novizia Edith che stava manifestando il desiderio di continuare a dedicarsi all’attività filosofico-speculativa dentro il monastero.
Il film, fedele alla vicenda spirituale e storica della santa, segna i passi del cammino attraverso alcune stanze, sette per la precisione, le sette stanze del Castello interiore di santa Teresa d’Avila. Così, per obbedienza, la celebre filosofa tedesca rinuncia alla sua passione intellettuale e comincia una vita interiore di preghiera e di silenzio, nella solitudine della sua cella: «Se vuoi essere tutto, devi rinunciare ad essere qualcosa»
Lo ripete nella sofferenza, Edith, ed accetta tutto, stringendo fra le mani il Crocifisso: chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Chi non si carica della croce non può seguire il Maestro. Non è pronto per la croce chi non rinnega se stesso.
Dentro il convento carmelitano, pur senza comprendere, Edith accetta la progressiva spogliazione, fino all’ultima stanza, quella delle camere a gas di Auschwitz dove troverà la morte, ma anche il senso compiuto della sua intensa esistenza.
In Monastero, dopo le prime ribellioni tace, avvolta dentro un rapporto personalissimo ed intensissimo con l’Uomo della Croce; il Re dei Giudei diventa per lei il Re della sua anima. Adesso, e solo adesso, è Teresa Benedetta della Croce, con una consapevolezza nitida del suo destino di ebrea-cristiana. Quella scritta è come se fosse posta sopra il capo della monaca filosofa, che, in preda all’angoscia, urla con tutta la sua carne ed il suo spirito «Elì, Elì, lamà sabactani?».
Adesso Edith è tutta interiore, è tutta silenzio, tutta obbedienza, eppure cammina lontano: varcando le porte del castello dell’anima, si accorge che il mondo fuori brucia.
«Se vuoi essere tutto, devi rinunciare ad essere qualcosa» questa frase è simile a un ritornello martellante che rimbalza nel suo intimo. Anche in me una voce la ripete, con quella certezza granitica che proviene dall’obbedienza della fede, dall’imitazione del Maestro. Sì, è così, è una verità che mai puoi predicare da te stesso, semplicemente ti viene offerta ed è assoluta, verissima, perché ti è rivelata.
Io prego che la mia obbedienza giunga fino a qui, alla notte oscura del mio schema ribelle, trafitta da quell’affermazione che ti inchioda «se vuoi essere tutto, devi rinunciare ad essere qualcosa»; quando la accogli è lo stesso Signore che ti permette di vivere la verità che la costituisce.
In questo percorso non si richiede uno sforzo virtuoso, non basterebbe: rimarrebbe una verità estrinseca a sé, limitata magari a determinate circostanze; la Voce deve afferrare lo spirito, allora sarà possibile rinunciare ad essere qualcosa; la Voce deve vibrare col respiro, ritmarlo, richiamando l’anima costantemente a Colui che dice «Lasciami passare».
Questa è la vita che è fluita dentro i cuore di schiere di monaci e monache che hanno seguito Dio. Questa è l’autentica verginità religiosa, ed è fondamentale, specialmente per chi ha scelto Gesù come tutto: «se vuoi essere tutto, devi rinunciare ad essere qualcosa»
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