Felice di essere vivo
In un bel racconto di Dag Retsö: il Bambino che c'è in noi e che non dovrebbe morire- Autore:
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La metropolitana procede a sbalzi e scossoni, e le sue ruote stridono più sinistramente che mai
sul binario. Fuori dei finestrini domina incontrastato il freddo gelido dell’inverno, e il desolato paesaggio ha l’aspetto di un abisso spalancato che ingoia il treno con rumore di tuono. Il vagone è pieno di passeggeri infreddoliti, ripiegati su se stessi, annoiati. Buon giorno!
All’improvviso un bambino si fa strada tra le gambe di adulti scortesi -il tipo di adulti che ti fa passare solo con malagrazia - e va a sedersi sul sedile in fondo. È proprio vicino al finestrino, e tutto solo in mezzo a un branco di grandi scontrosi e seccati per la levataccia mattutina. «Che bravo bambino» mi dico. Suo padre preferisce stare vicino alla porta dietro di noi. Il treno continua a correre dondolando in questa specie di mondo infero. Poi succede qualcosa di molto strano, completamente inatteso e che si svolge più in fretta del tempo necessario a raccontarlo. Il bambino piccolo e serio scivola giù dal sedile e mi appoggia una mano sul ginocchio. Per un attimo penso che voglia oltrepassarmi e tornare da suo padre, così mi sposto. Ma lui si china in avanti e avvicina la testa alla mia. Allora penso: «Vuole dirmi o sussurrarmi qualcosa. Bambini!» Abbasso la testa per ricevere il messaggio, ma mi sono sbagliato di nuovo! Il messaggio è un sonoro bacio sulla guancia.
Il bambino torna a sedersi con calma, appoggia la schiena e continua a guardare distrattamente dal finestrino. Quanto a me, sono sconvolto. Ma che è successo? Un bambino sconosciuto che bacia adulti sconosciuti sulla metropolitana. Come si può voler dare un bacio a persone sgradevoli e spinose come noi?
Poco dopo, tutti i miei vicini ricevono un bacio inatteso. Nervosi e confusi, sorridiamo all’indirizzo del padre. E lui, incrociando i nostri sguardi pieni di una domanda che non osiamo fare, mentre si prepara a scendere ci dà una spiegazione. «È così felice di essere vivo» dice. «È stato molto male»
Padre e figlio spariscono nella folla che defluisce verso l’uscita. Le porte si chiudono e il treno riparte. Sulla mia guancia permane la sensazione bruciante del bacio di un bambino di sei anni, un bacio che ha scatenato in me un frenetico attacco di analisi interiore. Quanti sono, mi chiedo, gli adulti che vanno in giro a baciarsi solo perché sono felici di essere vivi? Quanti dedicano anche un fugace pensiero al privilegio di vivere? Mi viene in mente l’uomo che piange in quel romanzo dell’autore svedese Sven Delblanc, quello che all’improvviso, piega il giornale, abbassa la testa e si mette a piangere disperato. Che cosa accadrebbe se noi tutti cominciassimo a essere semplicemente noi stessi, se venissimo fuori come siamo? Il risultato sarebbe il caos generale.
Il bambino che dava baci ci ha dato una sberla, una dolce sberla, ma assestata con grande serietà: state attenti a non morire prima che il vostro cuore cessi di battere! Il motivo per cui Gesù concede ai bambini un permesso speciale per entrare nel Regno dei Cieli mi sembrò tutt’a un tratto più ovvio che mai.