Shakespeare e la Chiesa ricusante

Ricordiamo William Shakespeare a 450 anni dalla sua nascita, una grande letterato, un grande uomo, ma soprattutto un grande cattolico. Alcune brevi annotazioni su di lui a partire dalla sua opera Il Mercante di Venezia.
Autore:
Mazzotti, suor Maria Vera
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Perché commemorare con gioia il 450° anniversario della nascita di William Shakespeare? Non è un santo ma, oltre ad essere un artista geniale per il suo tempo e ancora profondamente attuale nelle sue opere provocatorie, si è fatto portavoce della Chiesa cosiddetta ricusante, ossia di quei cattolici che rifiutando di firmare l’Atto di Supremazia della Regina Elisabetta, ossia di rinnegare Roma, divennero martiri. La maggior parte di loro venne canonizzata da Paolo VI il 25 ottobre del 1970, e questo pontefice venne profondamente scosso dalla testimonianza di questa chiesa delle catacombe, che ha risposto all’incredibile ferocia delle torture portate avanti da Topcliff e gli altri scagnozzi della Regina con fedeltà e coraggio. Ci sono molte ipotesi su Shakespeare, perché non abbiamo molte testimonianze certe su di lui, e perché i temi dei suoi drammi e i suoi personaggi sono così complessi che i critici nei secoli hanno potuto dire tutto e il contrario di tutto, però nelle sue commedie e tragedie dimostra un animo cattolico. Sono mille i riferimenti a pratiche del vecchio culto ormai bandite dal regime elisabettiano: il rosario, i pellegrinaggi, le processioni, l’adorazione eucaristica, la confessione. Parlare di tutto questo, anche se solo metaforicamente, poteva essere una grande imprudenza. I sacerdoti, banditi dalle chiese, che ormai appartenevano allo Stato, erano costretti a celebrare in case private, e venivano condannati a morte, anche solo per sospetto, come è successo ai santi gesuiti Padre Garnet e Padre Campion. Come dice Rocco Montano: si vede che l’impostazione di Shakespeare non è quella di staccare Dio dall’uomo, di rendere vana l’Incarnazione, di considerare l’uomo dannato in partenza, come facevano i suoi contemporanei anglicani e puritani, bensì di portare avanti quella filosofia umanistica che, da Tommaso d’Aquino ai giorni nostri, ha segnato e segna il pensiero della Chiesa Cattolica.
Vengo però a parlarvi di un dramma in particolare: Il Mercante di Venezia. Un’opera rara: né commedia, né tragedia che vede come protagonista, anche se solo di nome, il Mercante cristiano, Antonio, animo generoso e nonostante ciò affarista riuscito, invidiato da un usuraio ebreo di nome Shylok. Stranamente questo nome non è ebraico, bensì inglese, e nel suo comportamento, di fatto, l’usuraio ricorda più il tipico puritano, che non un presunto ebreo; del resto, di ebrei, all’epoca, in Inghilterra, ce ne erano molti pochi. Shakespeare sa che il suo pubblico vede un nemico più nel puritano, il quale tra l’altro era favorevole all’usura, piuttosto che nell’ebreo. I puritani infatti, erano odiati dal popolo perché si ergevano a difensori della legge, in materia di castità, povertà e obbedienza ma, come i farisei di Gesù, erano sepolcri imbiancati. Venendo alla trama, Antonio presta una somma di denaro all’amico Graziano, indebitandosi per tempistiche sfalsate con Shylok. Questi per non lasciarsi sfuggire l’occasione di rovinare per sempre il suo avversario, diventa più fiscale che mai, e alla scadenza del contratto che prevedeva in caso di ritardo, una libbra di carne di Antonio, nel posto più vicino al cuore, pretende l’esecuzione davanti a un giudice. La figura di Antonio, come si può notare, è cristica, perché per il suo amico è pronto a pagare con la sua carne, egli, oltretutto, è un mercante che nel linguaggio criptico dei ricusanti indica il sacerdote. Alla fine, la legge stessa di Venezia, si pone contro il suo desiderio perché quella libbra di carne dovrebbe essere estratta senza spargimento di sangue: uccidere un cristiano è, infatti, reato. Il dramma finisce bene per tutti, tranne che per il povero usuraio il quale, per scontare la pena viene costretto a ricevere il battesimo.
Riporto un video tratto da “L’uomo senza volto”, il film che da bambina mi ha fatto conoscere Shakespeare per la prima volta. I due brani che i protagonisti recitano sono il soliloquio di Shylok, che per Mel Gibson, un uomo ferito nel volto da un incidente e per questo motivo isolato dalla società, diventa descrizione del suo stato di vita, e l’esaltazione della Misericordia Divina, che tempra la giustizia.