L'Incarnazione come metodo

In alcuni passi di sant'Agostino
Autore:
Giacobbe, Teodora
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Siamo cristiani. E se siamo cristiani - il nome stesso lo dice - apparteniamo a Cristo: questo è il cuore del cristianesimo come ci ricorda sant’Agostino. Appartenere a qualcuno è essere una sola cosa con l’altro tanto da renderlo presente. Questo è il mistero dell’Incarnazione, mistero fondante, per i cristiani, cuore del nostro carisma di adoratrici. È un mistero che ci interpella perché tutti siamo chiamati a rendere presente con la nostra umanità Cristo, vero uomo e vero Dio. L’Incarnazione è la via che Dio ha scelto per compiere quell’identità già scritta nel suo nome: l’Essere qui, il Presente, l’Eterno. Come Gesù poté, a buon diritto, dire a Filippo: «chi vede me vede il Padre» (Gv 14,9), così il cristiano deve poter dire, senza alcuna presunzione: «chi vede me vede Cristo nella sua umanità». Così del resto attesta Gesù stesso nei dialoghi dell’Ultima Cena nel Vangelo di Giovanni: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).

Agostino definisce l’Incarnazione il collirio che Dio ha usato per ripulire i nostri occhi, per guarirli dalla cataratta del peccato originale che impediva all’uomo di entrare in relazione col Dio vivo (cfr. Commento al Vangelo di Giovanni 2,15). Nel nostro specifico di adoratrici del Santissimo Sacramento il collirio è l’adorazione. Lì, nell’Eucaristia, Gesù ancora diviene vero uomo, col suo corpo e la sua carne. L’Incarnazione, in un certo senso, si rinnova sull’altare ed è insieme Natale e Pasqua. Cristo si offre ancora al Padre come sacrificio vivente a Lui gradito e a noi come latte spirituale, cibo per i piccoli (Confessioni VII, 18.24). È lì per attirare il nostro sguardo, per convertirlo dalla mentalità perversa e degenere e per indirizzarlo sulla via della conoscenza, che biblicamente è il luogo della comunione sponsale con Dio.
D’altra parte tutta la vita terrena di Gesù si è compiuta dentro la dinamica dello sguardo. Attirò lo sguardo dei pastori e dei magi dall’umile dimora di una grotta di Betlemme, e compì la sua vita attirando lo sguardo di tutti dall’umile legno della croce in Gerusalemme. Ha tracciato così un cammino: guardando a Lui saremo raggianti (Sal 33), a Lui unica via che conduce al regno della Gerusalemme celeste.
Per questo incontro di sguardi era dunque necessaria l’Incarnazione, metodo scelto da Dio per rendersi presente nel mondo; metodo dunque via, strumento mediante il quale noi possiamo arrivare a Lui. Agostino dice che Dio ci ha fatto vedere come dobbiamo fare per imitarlo. Bisognava dunque prima additarci qualche norma e regola di vita. E questo si ottenne attraverso il disegno divino dell'Incarnazione (Lettera n. 11). L’umanità di Cristo, allora è la conditio sine qua non, per comprendere Dio. Vivere secondo il metodo dell’Incarnazione significa assumere su di sé, totalmente, una realtà che, pur limitata e imperfetta, chiede di andare al fondo di essa. È quanto fece Cristo: rivestì la nostra natura umana, fino in fondo, per la positività della creazione e della creatura e non semplicemente in riparazione del peccato originale. Così la pensa Agostino: nel Verbo eterno era presente tutto ciò che fu da lui creato; anche la sua propria Incarnazione gli era già nota in antecedenza come se un pittore volesse dipingere un’intera casa e riflette e arriva a conoscere il luogo in cui deve dipingere, possiede tutto grazie alla sua arte non solo nell’ideare la sua opera ma anche nel volerla eseguire, sebbene ne esegua le varie operazioni in determinati e appropriati periodi di tempo (Otto questioni dell’Antico Testamento, 2).
Perché allora l’Incarnazione? Per un amore grande, smisurato, da trasmettere a tutta la creazione e alla creatura più importante di tutte le realtà celesti: l’uomo. Dio s’incarna per abbracciare totalmente l’uomo. A questo abbraccio siamo chiamati a partecipare. Un abbraccio che però dobbiamo anche contraccambiare, facendoci, appunto, come Cristo: terra con la terra, prossimo col prossimo, quale che sia la situazione in cui si trova. Solo divenendo abbraccio, perdono, carità fino al rinnegamento totale di sé viviamo il mistero dell’Incarnazione e siamo Eucaristia, rendimento di grazie a Dio. Questo è rendere presente il Dio vivente nella storia di tutti i giorni; questo è proprio dei cristiani che consapevolmente vivono l’appartenenza ad un popolo. Questa è la realtà che noi adoratrici contempliamo nel Sacramento dell’Altare ogni giorno e che ci chiama ad assumerne lo stile nella relazione con il mondo.