Presepe 2015
Il villaggio della Misericordia

Nell’anno del Giubileo della Misericordia indetto da Papa Francesco il 13 marzo 2015, abbiamo pensato di riprenderne il tema, ambientando il nostro presepe dentro una città fiamminga. Sullo sfondo sette deliziosi quadretti riproducono le opere di misericordia corporale dipinte da un anonimo pittore olandese che lavorò nella città di Alkmaar.
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Spiegazione del Presepe

Il presepe è costruito sull’ideale sfondo di una bella tavola del Maestro di Alkmaar, anonimo olandese che lavorò nella città di Alkmaar dal 1490 al 1510. Questo artista dipinge sette deliziosi quadretti con le opere di misericordia, ambientate dentro una città fiamminga. Le opere di misericordia corporale sono in grande evidenza, ma sullo sfondo, qua e là, vediamo commentate anche quelle spirituali.
Quest’anno abbiamo dunque ambientato il Presepe in un villaggio dove, grazie alla presenza di Gesù, esplodono atti di misericordia.

Dietro la capanna sono collocate cinque opere. La prima «dar da mangiare agli affamati» mostra una casa signorile dalla quale esce giovane donna con un cesto di pane. È accompagnata dal marito il quale affonda già la mano nel cesto per servire i poveri, lanciando uno sguardo di profondissima intesa alla moglie. Ogni tipo di povero è rappresentato: uno storpio; una famigliola, dove il padre è cieco; un pellegrino e altre due persone che simboleggiano il resto dell’umanità affamata. In mezzo a loro, quasi nel più totale anonimato, senza aureola, scorgiamo Gesù che ci guarda, quasi a significarci la più totale identificazione con questi affamati. Cristo ha fame di amore e di attenzione, simili a quelli che questi due sposi stanno riservando agli affamati. Sullo sfondo altre due scene: un uomo distribuisce il pane ad altri poveri e più a destra una donna rientra in casa con il cesto vuoto. Forse ha dato tutto quello che aveva. Un menestrello, che nella cultura medievale ricopriva il ruolo di cantastorie, di colui cioè che educava attraverso il canto alla verità, sembra guardare fisso in volto l’uomo ricco e canta la bellezza di questa solidarietà.

Sullo sfondo della capanna si trova l’opera «vestire gli ignudi». Cristo, per primo, si è rivestito della nostra umanità per dare a noi, spogli di grazia e di eternità, il dono della sua vita divina. Anche qui una famiglia benestante alle porte della sua casa condivide abiti e mantelli a chi non ne ha.
Al centro della capanna si trova «alloggiare i pellegrini». Cristo, venendo al mondo, ha cercato alloggio per venire tra i suoi e, a lui vero cibo e vera bevanda, è stata offerta proprio una mangiatoia. Per il Maestro di Alkmaar la scena è gremita di pellegrini con le insegne del cammino di Santiago che trovano riparo grazie alla generosità dei cittadini. Anche noi, davanti al presepe, abbiamo collocato una strada che congiunge i due gruppi di case. È la strada dei pellegrinaggi, di quella vecchia via Emilia che un tempo, passando proprio da Ponte cappuccini, permetteva di arrivare sulla via Romea, diretta prima a San Sepolcro e poi a Roma. Prima dei frati cappuccini, questo luogo, dedicato a San Lazzaro (l’amico che ospitava Gesù e che Gesù ha risuscitato) era occupato dall’Ordine cavalleresco monastico di San Lazzaro, appunto, ed era noto come Lazzaretto. Non era un ospedale o un lebbrosario, bensì un luogo di ricovero per i pellegrini.

Sempre sullo sfondo della capanna abbiamo «visitare i carcerati». Una delle antifone «o» cantate nella novena di Natale, quella prevista il 20 dicembre, chiama Gesù chiave di Davide e dice:
O Chiave di David, e scettro della casa di Israele, che apri e nessuno chiude, chiudi e nessuno apre: vieni e libera lo schiavo dal carcere, che è nelle tenebre, e nell'ombra della morte.
È Cristo stesso, dunque che, con la sua venuta, ha visitato noi, schiavi del peccato e della morte, per darci la libertà suprema derivante dalla sua grazia. Nella tavoletta del Maestro di Alkmar si scorge Cristo entrare nell’oscurità del carcere e portare la luce. Egli è il Rex Mundi tiene, infatti, in mano il mondo con sopra la croce.

L’ultima opera di misericordia posta sullo sfondo della capanna è «dar da bere agli assetati». Gesù è vera bevanda. Egli ci ha lasciato come pegno della gloria futura il suo sangue, che non bagna più gli stipiti delle porte come il sangue sacrificale dell’agnello pasquale, ma le labbra dei credenti. Nell’opera di Alkmaar, la solarità della scena lascia intendere una giornata asciutta, capace di suscitare la sete in tutti, viandanti, pellegrini e poveri. Dal porticato di una casa signorile escono marito e moglie recando tre brocche, tre come la Trinità che è la prima a dissetare l’uomo nel suo desiderio di eternità. Nella foga generosa del dono, il padrone di casa compie un gesto persino maldestro e lascia cadere una manica del manto, liberando il braccio con cui serve il pellegrino che gli sta dinanzi. L’uomo è reduce da un lungo viaggio lo capiamo dal capo rasato tipico di colui che, pernottando in luoghi di fortuna ha contratto o teme di contrarre pidocchi. In primo piano due poveri, uno storpio e un fanciullo attendono pazientemente il loro turno. In coda vediamo anche una donna col suo bambino e un altro pellegrino, tutti desiderosi di dissetarsi. I gradini della casa sono azzurri come i riflessi delle brocche di metallo. Quella casa offre da bere agli uomini, non per filantropia, ma in nome della fede. Sullo sfondo scopriamo, come nelle altre scene, la presenza di Gesù. Questi non fissa gli occhi sui bisognosi, ma sulla famiglia che si prodiga nell’aiuto e nel servizio.

In alto, dietro alla capanna e alla case in primo piano, si estende un altro villaggio. Sopra il quale sovrasta l’immagine del Padre, giovane, col volto di Cristo. Ai lati di Dio padre, altre due scene di misericordia: «visitare i malati e seppellire i morti». L’opera «visitare i malati» si trova a destra, vicino al gruppo delle case, una modesta e due signorili del presepe stesso. Nel pannello dell’anonimo olandese si vede un porticato oltre al quale s’intravvedono scene di soccorso a quanti, durante il viaggio, hanno contratto malattie. Anche una delle due case del nostro presepe ha un porticato, mentre la prima casa ha un grande portone, segno di quella porta della misericordia che si spalanca verso le miserie umane. Queste case guardano verso la parete, oltre la quale, tra l’altro, noi effettivamente ospitiamo la dispensa per il sostentamento delle famiglie più bisognose di Pietrarubbia.
Dal lato opposto, vicino alla Chiesa e al campanile, troviamo invece l’opera «seppellire i morti». Se qui, nel cielo campeggia il Cristo in gloria, sulla bara, invece, si vede una grande croce. Croce e gloria adornano anche la Chiesa e il campanile del villaggio che accoglie il nostro presepe. L’orologio del campanile dice il mistero del tempo che conduce ogni uomo a varcare la soglia dell’eternità. L’ogiva luminosa del campanile, dove s’intravvede l’angelo, racconta la promessa della gloria di risurrezione, mentre, sulla cima del tetto, ecco la croce indicare la via percorsa da Cristo per offrirci tale grazia. Questa strada è anche la nostra. Sul tetto della chiesa, pure abbiamo la croce e più sotto il rosone, altro simbolo di quella gloria che sarà anche nostra grazie all’accoglienza paziente delle nostre croci.

Le statue del Presepe “incarnano” le opere di misericordia. La donna con la brocca dà da bere agli assetati, l’uomo con le oche offre da mangiare agli affamati, il pastore con le pecore veste di lana gli ignudi. San Giuseppe con la lanterna accoglie noi, pellegrini, che cerchiamo Gesù. I tre re Magi con i loro doni significano le ultime tre opere di misericordia. Con la mirra, in mano al Re moro, si ungevano i morti ma si curavano anche le malattie e quindi viene significata la cura degli infermi. Nell’incenso, in mano al Re mago con il copricapo da vescovo ortodosso, si cela il simbolo della preghiera che è la prima forma per visitare carcerati e sofferenti. La vita claustrale, del resto, si chiude dentro le mura dei conventi, non per estraniarsi dal mondo, ma per “evadere” da questo mondo mediante il mezzo della preghiera e trascinare con sé tutti quelli che attendono la vera liberazione che Cristo ci ha promesso. Infine, in primo piano il re inginocchiato reca l’oro. L’oro non muta con il tempo, è un metallo luminosissimo in cui si riflette la luce di Dio stesso. Per questo l’oro è simbolo dell’eternità e a esso si riferisce l’opera di seppellire i morti, perché solo chi crede in una vita futura si prende cura del corpo dell’uomo anche dopo a sua morte.
Dietro alle opere di misericordia sta, in filigrana, la pagina di Matteo 25,31-40, quella in cui il Figlio dell’uomo, tornando sulla terra, riconoscerà solo quanti hanno soccorso in vita i fratelli, espressione concreta della sua presenza in mezzo agli uomini.