Pellegrini della speranza
Pellegrini di speranza, infatti è il titolo fortemente voluto dal Santo Padre per l'evento salvifico del Giubileo che inizierà alla Vigilia di Natale.In modo provvidenziale, e certamente non casuale, il Giubileo del 2025 si apre in questo mese di Dicembre avendo come tema fondamentale il pellegrinaggio. Pellegrini di speranza, infatti è il titolo fortemente voluto dal Santo Padre per questo nuovo evento salvifico.
Provvidenziale per la nostra Diocesi, perché da qualche anno con molto lavoro, ma nel contempo con molto entusiasmo, si è andato approntando un cammino sulle orme del santo Marino. Da sempre il viaggio, anzi il pellegrinaggio, nella tradizione giudaico cristiana, è stato segno e metafora della trasformazione interiore, ovvero del cambiamento, della metanoia (cioè della conversione). Al cammino esteriore, infatti, sempre corrisponde un cammino interiore, più profondo. La stessa vicenda di Abramo comincia con un viaggio: «Esci dalla tua terra e va’!» disse Dio ad Abramo. In ebraico l’imperativo suona così: lek Lekà! Va verso te stesso! Va verso la verità di te. Andare verso al verità di se stessi è il senso stesso del viaggio della vita. Così andò verso la sua verità di popolo, Israele, quando lasciando l’Egitto inizio il grande Esodo verso la terra promessa. Durante i secoli passati in Egitto gli ebrei avevano perso la loro identità di popolo, il viaggio verso la terra promessa li trasformò nel popolo di Dio. Rispetto al cammino di Abramo, viene però qui introdotto un aspetto importante, proprio quello della Speranza. La terra promessa diventa quella meta nella quale è possibile vivere la propria adesione a Dio con libertà e fecondità. La speranza, infatti, in ebraico esprime l’immagine di una corda tesa, dove il presente è vissuto entro un legame profondo fra passato e presente. Ogni generazione vive la tentazione di rifugiarsi o in un passato nostalgico, che non può produrre frutti adeguati per l’oggi, o in un futuro inesistente, che non prevede i pericoli annessi a un progresso senza valori ne limiti. La speranza è il presente certo delle proprie radici e aperto allo sviluppo richiesto dal futuro. Così la terra promessa diventa sì un cammino verso un progresso, ma per attuare pienamente ciò che fonda la propria tradizione. Gesù stesso volle vivere questo anelito alla speranza, e fu a tutti gli effetti pellegrino. La sua permanenza in Egitto da fanciullo, lo radicò nel passato remoto del popolo di Dio e il ritorno verso la terra promessa, teatro e luogo della sua opera redentiva, lo trasformò in pellegrino della speranza. Egli stesso, pur essendo speranza in atto, volle vivere l’anelito della speranza racchiuso nel ritorno alla propria terra, alle proprie radici.
Nelle sue manifestazioni da Risorto, poi, ai discepoli in fuga da Emmaus egli si manifestò proprio come pellegrino di speranza. Sono innumerevoli le opere d’arte che lo raffigurano con l’abbigliamento tipico del pellegrino e la conchiglia di finis terre. Il punto più occidentale del mondo conosciuto prima della scoperta delle Americhe, il luogo dove secondo le antiche credenze finiva il mondo. Lì ogni pellegrino giunto a Compostela rinnovava le promesse battesimali compiendo il voto del pellegrinaggio che gli assicurava la speranza della salvezza finale.
Tra le svariate e notissime scene di Emmaus, con Cristo pellegrino, ce n’è una meno nota attribuita a un italiano del 1500, Lelio Orsi. Si trova alla National Gallery di Londra. Siamo ormai all’indomani della scoperta del Nuovo Mondo e Cristo ha perduto la sua conchiglia. Resta però, nonostante le speranze accese dalle recenti scoperte, il cielo minaccioso, portatore di tempeste e piogge torrenziali.
Un vento contrario scuote gli abiti dei tre viandanti rallentando il loro cammino. Quello che ai due discepoli appare immediatamente contro il loro viaggio (pioggia e vento avverso) è in realtà a loro favore, perché come comprenderanno più tardi la loro direzione era totalmente sbagliata. In questo momento però cielo e vento rispecchiano l’animo turbato dei due che si vedono raggiunti e financo superati, da un misterioso Viandante avvolto in bianchissime vesti. Ad un primo sguardo non sembra discostarsi, molto da loro nella foggia, ma sorprende il suo piglio sicuro e l’andare deciso. I due gli camminano appresso, arrancando, mentre vistosi coltelli pendono dalle loro cinture. Le aspirazioni di pace e prosperità che avevano intravisto sono andate in fumo dentro nuove e più insidiose minacce di ostilità tra uomo e uomo tra popolo e popolo. Il nostro artista non poteva immaginare quanto noi, pellegrini del XXI secolo, potessimo rispecchiarci. Forse potremmo sostituire al coltello, armi più sofisticate apparecchiature elettroniche dell’ultima ora, ma lo stato d’animo resterebbe lo stesso e l’incertezza circa il futuro pure. Così l’opera appare assolutamente fedele al clima spirituale che vive il nostro mondo in attesa del giubileo della Speranza. Il compagno di viaggio dei due è, invece, disarmato, sciolto nei movimenti e impugna il bastone con forza. Egli sa dove andare. Il candore del suo abito parla di pace e l’altra mano, aperta, con il palmo all’insù, suggerisce la promessa di un dono che presto sarà loro rivelato. La speranza nasce proprio da qui! Non solo dal camminare, ma dal sapere dove andare. Questo differenzia il pellegrino dal vagabondo. Quest’ultimo non ha una meta e un luogo vale l’altro. Il pellegrino invece cammina sapendo di avere davanti a te una terra di speranza. A bene vedere i due di Emmaus, ritratti dall’Orsi, non avevano meta, erano fuggiaschi. La locanda che Cristo addita loro trasforma il loro vagabondaggio in un pellegrinaggio di speranza. La Chiesa è questa locanda nella generazione di ogni tempo che aiuta l’uomo a trovare la via (come era chiamato anticamente il Vangelo) per andare verso la verità di sé. Come i due pellegrini tornarono, presto sui loro passi. Verso Gerusalemme, città di Dio.