Le candele d' Avvento

Nelle domeniche di Avvento si assiste alla ormai tradizionale accensione delle quattro candele collocate sulla corona. Ognuna di queste quattro candele rimanda al senso della Domenica che si celebra e al dono ad essa connesso: la speranza, la pace, la salvezza universale, la contemplazione.

Ci sono realtà che, guardate con l’intelligenza della fede, si trasformano in strumenti educativi e di crescita. La corona d’Avvento non è un segno antico, nasce piuttosto dalla fusione di più tradizioni. Anzitutto quella scandinava, attorno al 1600, quando il culto per Santa Lucia era ancora vivo. Protestanti e cattolici facevano indossare alle fanciulle (e questo in alcuni luoghi avviene ancora) corone luminose per indicare la vittoria di Cristo sulle tenebre.



Verso la fine del 1800 un pastore protestante, Johann Hinrich Wichern (1808-1881), realizzò corone che prevedevano un alto numero di luci, al fine di raccogliere fondi per bambini senza tetto. L’idea incontrò il favore di molti e, con il passare del tempo, la corona si semplificò assumendo la forma liturgica delle quattro candele, come quattro sono le settimane dell’Avvento. Bisogna tuttavia attendere la fine della seconda guerra mondiale perché il significato spirituale delle varie parti della corona si stabilizzasse, diventando potente rimando alla luce di Cristo, che sconfigge le tenebre del male e della morte con la corona gloriosa dell’eternità.



Pur essendosi sviluppata in ambienti protestanti, questa bella tradizione si è rapidamente diffusa in ambito cattolico per la profonda semplicità dei suoi simboli e dei suoi significati. Ognuna di queste quattro candele rimanda al senso della Domenica che si celebra.
La prima candela è detta la Candela del profeta ed è segnata dalla parola «speranza». La seconda è la candela di Betlemme ed è la candela della «pace»; la terza è la candela dei pastori ed è la candela della «salvezza»; infine la candela degli angeli che rimanda alla «Presenza e alla contemplazione».

La Candela del profeta
I profeti segnano il passo di tutto l’avvento, in particolare è Isaia il grande interprete del Natale, nella prima domenica l’annuncio profetico è davvero al centro dell’insegnamento cattolico. Nella stupenda macchina liturgica dell’Altare di Grünewald la scena dell’Annunciazione è speculare a quella della Risurrezione: Colui che verrà nella gloria è Colui che è venuto nella carne di Maria. Un tale stupefacente mistero è cantato dal profeta Isaia che tiene aperto il suo libro al capitolo 7, laddove si legge: La vergine concepirà e partorirà un figlio e sarà chiamato Dio con noi (Is 7,14).



Similmente nella scena sottostante, la Vergine, annunciata dall’angelo e in procinto di concepire, tiene aperto il medesimo libro, giunto al compimento. Isaia è curiosamente assimilato alla cera (o al legno) ed è contornato da cortecce e rami secchi. Anche nella corona d’avvento è d’obbligo la presenza della corteccia e delle bacche secche, potente rimando alla condizione mortale della natura umana che attende, appunto, un annuncio di speranza. Per questo la “natura morta“ della corona d’avvento s’intreccia con rametti e aghi di pino o abete sempre verdi, testimonianze inequivocabili della vita che non muore.



È proprio in ambito protestante, e in special modo per il pennello sapiente di Lucas Cranach il vecchio, che troviamo varie tipologie di Madonne del Pino o dell’Abete. Una stupenda Madonna del latte, ad esempio, datata 1515, narra di una vergine pensosa e bellissima il cui figlio è attaccato al suo seno con una veridicità impressionante; la bellezza del paesaggio che le sta dietro non sembra, tuttavia, allietare i suoi pensieri. Quel Figlio, più di ogni altro, è nato per morire e ogni istante di vita lo avvicina ala croce. Sono proprio gli alberi e gli arbusti che la circondano a raccontarci i pensieri di Maria e sono gli elementi tipici delle corone d’avvento: piante sempre verdi e spinose che parlano di passione, morte e risurrezione.



La Madonna vestita in abiti invernali annuncia l’avvento di Speranza: è proprio lei in definitiva a “coronare” con il suo sì le nostre attese e a porre una parola definitiva alle angosce mortali dell’umanità regalandoci nella carne la speranza cristiana: il Cristo benedetto.

La candela di Betlemme
Si accende la seconda candela d’Avvento e la liturgia con i ritmi solenni e maestosi dell’Avvento ci ha giù abituati alla voce dei profeti, specie alla voce di Isaia (cfr. Is 11, 1-10): Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Se il germoglio evoca la primavera e la fragilità della vita che si fa spazio fra le intemperie e le difficoltà, il prosieguo delle profezie isaiane si popola di immagini forti: Il lupo dimorerà insieme con l'agnello; Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso.
È Isaia che canta il libretto dell’Emmanuele, tratteggiando l’identikit del Messia. Ma non è il solo. La seconda candela d’Avvento è tradizionalmente legata a Betlemme la più piccola tra le città di Giuda che viene elevata in alto perché culla del Messia, il testo biblico di riferimento è del profeta Michea (Mic 5, 1-2): E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall'antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà.



Così Michea e Isaia si prendono per mano poiché l’uno canta la Vergine che partorirà l’Emmanuele e l’altro parla del luogo che sarà teatro di tutto questo. Ambedue si muovono su due registri, quello della luce più fulgida e quello dell’oscurità del tempo che non sempre permette di riconoscere la luce vera.
Michea appare nello sportello chiuso dell’Agnello mistico dei fratelli Hubert e Jan Van Eyck, un’opera stupenda dedicata alle otto beatitudini, quando cioè tutti i santi vanno processionalmente verso la Santissima Trinità (polittico aperto). Nello sportello di destra del polittico chiuso, proprio sopra la scena dell’Annunciazione, troviamo il profeta Michea che addita l’evento misterioso del concepimento di Maria. Michea si sporge dalla sua lunetta quasi interdetto perché le sue parole si avverano con una precisione impensabile. Betlemme di Efrata è, per i van Eyck, ogni luogo dove si celebra il Mistero Eucaristico, Betlemme è ogni terra ove si vive il Vangelo venerando la beata Vergine Maria.



Così la città della pace per eccellenza, Betlemme, il cui nome significa città del pane in ebraico, e città della carne in arabo, è la stessa Gand, luogo ove vive e opera il pittore. La casa di Maria è una delle tante case delle Fiandre ma, dalle finestre, si scorge una Gand trasfigurata dalla una luce nuova, quella della fede.
Allo stesso modo l’accensione della seconda candela ci invita a cercare Betlemme nelle nostre città e a trovarla laddove si vive il Vangelo, si celebra il Sacramento secondo la tradizione della Chiesa, si onora Maria e, con essa, l’Incarnazione della seconda Persona ella Trinità.

Un’opera stupenda di Vanni Rossi facente parte di 120 tavole dell’artista che raccontano la Bibbia, ritrae proprio Michea mentre addita Betlemme. Rossi, pittore bergamasco è tra i fondatori (con mons. Polvara ed Ernesto Bergagna), della Scuola del Beato Angelico di Milano.
Il suo Michea ci volge le spalle ed è ritratto davanti all’orizzonte infinito dei secoli. Reca sulle spalle la borraccia dei camminatori, dei pellegrini, e con la mano sinistra addita il Presepe. Lo sguardo però è rivolto verso il basso, ovvero verso i tanti cammini della terra, verso di noi che ancora siamo viatori del Mistero qui tra le rovine e le contraddizioni del mondo.



Con una distanza impressionante di secoli e di stile i tre artisti (i van Eyck e Rossi) ci regalano la medesima suggestione: Cristo viene ancora qui e ora; la città della Pace, come la Betlemme storica, è qui e ora, vive e sopravvive, direbbe Sant’Agostino, tra le persecuzioni del mondo e la consolazione di Dio.


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