Il credo fra bibbia e arte: salì al Cielo

La Chiesa nell’ascensione di Cristo commemora la dignità della carne. Il ritorno di Cristo al Padre inaugura una nuova modalità di stare con Lui, di vederlo, vivo nel suo Corpo che è la Chiesa
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Il sesto articolo del credo attesta la verità di Cristo che salito al cielo siede alla destra del Padre.
Già l’antico salmista cantava: Ascende Dio tra canti di gioia, il Signore fra squilli di tromba, alleluja! L’ascensione che per il salmista rappresentava una solenne teofania, cioè una manifestazione del divino in tutta la maestà della sua gloria e potenza, si realizza in Cristo in un evento di teologica importanza.
La Chiesa nell’ascensione di Cristo commemora la dignità della carne. Un celebre teologo, François Varillon, scomparso nel 1978, scriveva: con l’ascensione di Cristo al cielo un corpo abita nella Trinità. E ancora: Cristo ha sottratto la sua carna ai nostri occhi perché potessimo noi riconoscerlo nella quotidianità della sua Chiesa (corpo vivente del Cristo) con gli occhi del cuore.
Forse per questo l’antico autore all’origine degli affreschi della mistadina di Sologno che abbiamo contemplato all’inizio del nostro percorso, assegna simbolicamente il quinto articolo del credo a Giacomo il fratello del Signore. Costui che aveva conosciuto Cristo secondo la carne (cioè attraverso i legami di una parentela) ora non lo conosce più così, ma lo riconosce nella sua Presenza mistica dentro la Chiesa e dentro le vicende della storia della quale Egli è Signore.

Accanto alle opere che seguono un’iconografica legata alla narrazione storica dell’evento (come ad esempio l’ascensione del Mantegna, dove il Cristo sale al cielo in un tripudio di serafini mentre sotto, gli apostoli, ricompattati attorno a Maria dopo la dispersione subita nei giorni della passione, assistono attoniti all’evento), la sensibilità moderna rilegge l’evento sul piano teologico.

È il caso di Jerzi Duda Gracz nella XVIII stazione della via Crucis donata quasi quale ex voto alla Madonna di Czestochowa.
L’artista coglie il Cristo con il suo corpo trasfigurato dalla luce della risurrezione e con una tunica bianchissima e trasparente, così come il Vangelo la descrive nel giorno della trasfigurazione, prefigurazione di questa gloria. Le mani sono intrecciate verso il basso quasi a voler indicare la preghiera d’intercessione presso il Padre che Cristo continua a svolgere nel suo Cielo.

E mentre i piedi si perdono nella sterminata folla del popolo, il capo già affonda in quel cielo che lo sta per accogliere. Cristo ha gli occhi chiusi perché già vive nel Padre e perché vuole educare i discepoli a riconoscerlo non più con gli occhi della carne ma con quelli dell’anima. Ora, Cristo, lo si può vedere nel tempo e nella storia attraverso la sua Chiesa, per questo l’abito del Signore si perde totalmente con la sterminata folla di fedeli che sta idealmente dirigendosi verso il Santuario di Jasna Gora.

L’ascensione di Cristo decreta per la Chiesa la via della fede, il modo di vedere della fede, che anche i discepoli hanno dovuto apprendere, sia nel tempo in cui Cristo è rimasto con loro, sia, e, anzi, soprattutto, nel tempo in cui, tornando al Padre, egli si è celato ai loro occhi.