Alla cena dell'Agnello
I nostri auguri di Pasqua vogliono portarvi dentro una stupenda Pala francese del 1485, un tempo presente nella Certosa di di Thuison les Abbeville e oggi a Chicago. Un mondo per trovare speranza, ancora una volta, grazie al Sacrificio del nostro Redentore.
Carissimi,
e viene ancora la Pasqua, come ogni anno. E ogni anno sembra venire più in fretta, sommersa come è dalle notizie sempre più sconcertanti che giungono dalla cronaca. Notizie che spingono però alla preghiera e alla carità, due elementi imprescindibili per vivere bene la Quaresima.
Un autore francese ci permette di accedere alla sala del Cenacolo, di passare a quel piano superiore che, ancora oggi, obbliga a guardare le cose da un'altra prospettiva.
Al piano superiore
Sullo sfondo si nota una finestra. La stanza del cenacolo si affaccia verso una città impegnata nei suoi ritmi e nei suoi affari, che rende questo evento, così decisivo nella storia della salvezza umana, consegnato all’indifferenza e all’anonimato.
Oggi come ieri, come al tempo dell’artista certosino che realizzò quest’opera, il cammino della città degli uomini si distanzia a grandi passi dal cammino della città di Dio e da coloro che faticosamente la edificano. La stessa Certosa, ove questa pala era esposta e venerata, fu soggetta alle devastazioni della storia. Fondata nel 1300, necessitò di continui restauri a causa delle guerre e dei soprusi, fino a quando, durante la Rivoluzione francese, venne soppressa e trasformata in una vetreria prima e in una filanda poi.
Dalla parte opposta della finestra, una porta ci permette di scorgere la scena della lavanda dei piedi, quasi per ricordarci che Cristo non tiene conto delle nostre indifferenze, ma ci serve sempre, come allora servì Pietro e i suoi, lungo i secoli della storia.
Ci è allora gradito pensare che Cristo laverà ancora i piedi a questo nostro secolo, a questa nostra umanità smarrita, segnata dalla tentazione (simile a quella di Pietro) di giudicare da sé la realtà e di far fuori, una volta per tutte, quel piano superiore che obbliga a valutare la realtà da una prospettiva eterna.
Come i nostri volti
Forse ha ritratto i suoi confratelli, il monaco artista, perché le facce degli apostoli sono proprio comuni, sono le nostre facce. Nessun abbellimento nessuna pietà per i singoli difetti, ognuno di noi potrebbe, a ben ragione riconoscersi in qualcuno di loro.
Alcuni sono turbati, al punto d’esser depressi come Giovanni, il quale non soltanto è assonnato ma cerca conforto nascondendosi dietro i panni di Gesù. Qualcuno rimane in preghiera non sapendo bene che dire o che fare di fronte all’annuncio del tradimento di uno di loro. Altri, con il loro bicchiere in mano, cercano di darsi un contegno, rimanendo ancorati nei gesti della cena. Soltanto due reagiscono: Pietro che balza in piedi di scatto protestando la sua supposta fedeltà; Giuda alza le mani fingendo l’innocenza che non possiede e accettando da Cristo quel boccone che lo condannerà. La borsa dei danari è già gonfia per il peso del suo tradimento.
Di fronte alle situazioni di divisione e di incertezza, che oggi così frequentemente si vengono a creare tanto in famiglia quanto nelle comunità, le nostre reazioni sono simili alle loro.
Come Giovanni cadiamo in uno stato di apatia e di depressione che impedisce di fare alcunché, lasciandoci andare in espressioni del tipo: tant’è è tutto inutile! Non ne vale la pena… ormai!
Coloro che sono spiritualmente più saldi si serrano in preghiera cercando luce per discernere. È la posizione dei silenziosi e dei contemplativi; in certi momenti una delle posizioni più certe. Altri si consegnano alla concretezza e fanno semplicemente quello che possono fare, senza se e senza ma.
Ci sono poi quelli che reagiscono, alla maniera di Pietro e Giuda. Questi pensano di salvare la situazione con le loro proprie forze, vogliono farsi giustizia da soli e, spesso, presumono di sé, delle proprie capacità, del proprio valore.
Tra questa ridda di posizioni tutte plausibili e, insieme tutte discutibili, si staglia la figura di Gesù. Salda ed eretta come pietra angolare. Il suo sguardo supera Giuda, supera anche il collegio degli Apostoli, è uno sguardo che giunge fino a noi.
Come ci poniamo noi di fronte a una passione che perdura nella storia? A un Cristo che, come direbbe Pascal, resta in agonia fino alla fine del mondo?
La mensa che ci sostiene
Sulla tavola e davanti alla tavola alcuni elementi ci offrono preziose indicazioni. In primo piano il cane che addenta un osso è simbolo di fedeltà. Sta saldo chi rimane nella fede, chi – per rimanere nella metafora del cane – non molla l’osso a dispetto delle previsioni negative, quando non funeste.
I pani, in primo piano e sulla tavola, i calici e la brocca, rimandano ai gesti dell’ultima cena e, quindi, alla dimensione sacramentale della Chiesa: l’Eucaristia (pane e vino) e la remissione dei peccati (la brocca con il panno). Ancora sulla tavola, il sale e il limone alludono ai sacramenti del Battesimo e dell’Unzione crismale. Il limone compare spesso sulla tavola delle ultime cene: per il suo colore dorato, l’abbondanza del succo e le sue proprietà (era considerato un antidoto contro i veleni) lo si identificava con il frutto proibito del paradiso, ora, grazie a Cristo, offerto di nuovo all’uomo.
Al centro della mensa sta l’agnello sacrificale che indica, appunto l’offerta di Cristo, vero Agnello di Dio, dal quale come sorgente sgorgano tutte le ricchezze della Chiesa.
Il segno di Caino
Un particolare attrae la nostra attenzione: la curiosa forma del sedile ove sta l’apostolo diametralmente opposto al Cristo. Forse è l’altro Giuda, Taddeo, il fratello del Signore somigliantissimo a Gesù. Quel sedile ha l’inequivocabile forma del Tau, il segno impresso sulla fronte di Caino, il quale, benché omicida e fuggiasco, godrà sempre della protezione divina.
Quel Tau è la grande promessa di misericordia per tutti noi. Possiamo riconoscerci in tutti gli apostoli, talora persino in Giuda, ma mai potremo disperare dell’aiuto e della misericordia di Dio.
Questa è la grande speranza, perché poggia sulla promessa divina: sono venuto per salvare e non per condannare.
Così a questa mensa eucaristica che forma il tessuto quotidiano della nostra giornata e della nostra preghiera vogliamo portare tutti voi, vicini e lontani, voi che ci siete divenuti molto cari. Siamo liete di soffrire tutti disagi e le peripezie di questa nostra Chiesa particolare, perché tali sofferenze, offerte a Dio, come dice il profeta, rammenteranno a Dio le sue promesse a che mai venga meno la sua misericordia: Voi, che rammentate le promesse al Signore, non prendetevi mai riposo e neppure a lui date riposo (Is 62, 6-7)
Notizie dai Monasteri
Le nostre notizie sono buone. Abbiamo ricevuto all’inizio di questo 2023 il riconoscimento governativo che ci mancava: la personalità giuridica. Ora stiamo facendo le pratiche per poter ricevere il 5x1000 che già da anni molti di voi vorrebbero offrirci. Stiamo anche continuando i lavori di ristrutturazione dei sotterranei. Speriamo entro quest’estate di terminarne almeno una prima parte. Ci hanno impegnato più del previsto a causa degli aumenti delle materie prime, però con la grazia di Dio e la provvidenza tutto si sta progressivamente compiendo. Vi ringraziamo per quanto avete già fatto e quanto ancora farete per aiutarci.
Raccomandiamo alle vostre preghiere la mamma di suor Beatrice che si trova in ospedale (in Uganda) in condizioni difficili.
In questo anno abbiamo diversi anniversari: dieci anni di professione di suor Maria Maddalena e di suor Maria Vera; 50 anni di età di suor Maria Teodora e 50 anni di Messa di don Gabriele (a settembre), mentre nello scorso ottobre abbiamo avuto la vestizione di Erica, nella suggestiva cornice della chiesa di Murata.
Ringraziandovi ancora per la vostra amicizia e vicinanza, assicuriamo a tutti il nostro ricordo e a nostra gratitudine e l’augurio più sincero di una buona Pasqua di risurrezione.