Le dieci parole (I)
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Le dieci parole
La creazione del mondo che culmina col sabato è intessuta, nel testo di Genesi 1 da dieci parole, cioè da un decalogo. Dal primo atto creativo: barà, si dispiega un’azione creatrice introdotta per altre nove volte dalla Parola: «E Dio disse».
Ogni atto creativo di Dio corrisponde, perciò, alle dieci parole che poi sono state rivelate a Mosè. Non a caso allora le dieci parole di Mosè, ricevute da Dio sul Monte, trovarono poi sede e collocazione definitiva nel tempio, così come l’ebbero nell’arca durante i giorni della peregrinazione del popolo. Le Parole risiedono nel Santuario, tanto quanto le prime dieci Parole avevano funzione di edificare il Santuario vero quello della Comunione fra Dio e la sua creatura. Nei Pirqè Avot, cioè nei detti dei Padri, libro fondamentale per la tradizione rabbinica, Le dieci Parole della creazione vengono accostate alle dieci generazioni che intercorrono da Adamo fino a Noè, segno della pazienza di Dio di fronte al peccato dell’uomo. Queste dieci generazioni, con i dieci giusti invocati da Abramo per la salvezza della città di Sodoma, sono un ponte gettato verso il decalogo: luogo della salvezza e della misericordia e già segno di quel Logos (Cristo) che manifesterà pienamente i sentimenti divini per l’umanità.
Dio crea ex nihilo
Il primo atto creativo di Dio inizia con il verbo barà: creare. Questo verbo ricorre nella scrittura spesso per definire l’operare di Dio e qualche rara volta per l’agire dell’uomo artista. Dio creò i cieli e la terra che era informe e deserta. Le parole che definiscono lo stato della terra hanno un suono onomatopeico, esprimono la realtà di fatto: tohù wabohù. Questi due suoni pronunciati insieme riproducono l’effetto della eco che si verifica in un luogo vuoto.
Con questo espediente nella mentalità concreta della cultura biblica si introduce l’idea del nulla. Dio creò dal nulla, ex nihilo. E creò con il suo Logos, con la sua Parola: dabar che realizza ciò che dice. Dabar, in ebraico, la parola come nel greco logos, significa sì parola, ma anche cosa e azione, evento. Il dabar fa ciò che dice.
Sulla terra informe e deserta vigila lo Spirito di Dio, la ruah elohim aleggia sulle acque. Il verbo merahefet, aleggiare, esprime il battito d’ali lieve della colomba sulla covata. Sopra questa terra ancora informe soffia lo Spirito Creatore e dentro di essa germoglia già la promessa della vita, espressa proprio nella tenerezza del verbo merahefet. Questa immagine bellissima ritornerà nel nuovo testamento durante il Battesimo di Gesù, laddove lo Spirito sotto forma di colomba librava sopra il capo del Salvatore. Se in Genesi si narra della creazione, nella pagina evangelica si narra della ri-creazione del mondo. Il battesimo cristiano ci riporta qui: l’immersione nelle acque rimanda all’immersione nella morte di Cristo, l’uscita dalle acque è riemergere con Lui a vita nuova. Ma acque e morte riportano all’immagine del caos primordiale, da cui il battesimo ci affranca per sempre.
Nello splendido ciclo musivo della Basilica di San Marco, in cui è narrato tutto il mistero della salvezza, vi è - non a caso- una certa corrispondenza tra lo Spirito che aleggia sulle acque primordiali e il Cristo immerso nelle acque del Giordano nel momento del battesimo (Figure 1-2). Come le ali dello Spirito si con-fondono con le acque del caos primordiale, covando in esse la vita, così le onde si confondono con le braccia del Signore che, benedicente, le santifica in vista dell’opera della Redenzione. Se il Cristo santifica, sulla terra, le acque in Cielo la grazia santificante si manifesta come luce: una stella a otto punte irrompe nel buio e una colomba libra sopra il capo di Cristo, accompagnata da tre raggi simbolo della Trinità.
Prima Parola
La prima Parola della creazione riguarda non a caso la luce, infatti Dio disse: sia fatta la luce e la luce fu. Dio crea la luce. Non crea però le tenebre che sono, dalla Scrittura, associate al caos. Le tenebre sono la negazione della luce e sono il luogo dove non c’è comunione, non c’è Presenza, dove il mondo minaccia continuamente di precipitare di nuovo nel caos. Quel Dio che ha fatto cielo e terra principia la sua creazione dando vita alla luce che vince le tenebre e sottrae la creazione al caos. I primi cristiani chiamavano i battezzati «illuminati», perché sottratti definitivamente a quella oscurità che la morte per il peccato.
Michelangelo, negli affreschi della Cappella Sistina che prendono spunto proprio da questo brano di Genesi 1, per esprimere la creazione dal nulla di Dio, per dire cioè che prima di Dio c’era Dio, riempie totalmente lo spazio da affrescare con il corpo di Dio Padre. Si vedono solo le due mani (che i Santi padri, come Ireneo, dicevano essere il Figlio e lo Spirito Santo) che allontanano le tenebre e lasciano irrompere la luce (vedi immagine).
Nel ciclo musivo di San Marco il primo giorno, con la sua prima Parola è significato da un angelo che a braccia aperte sta tra la luce e le tenebre. Un braccio infatti posto sopra lo sfolgorio di un globo incandescente (la luce) è luminoso, l’altro posto sopra una sfera oscura è in ombra. Il Padre ha le fattezze di Cristo e reca in mano uno scettro che ha la orma della croce. Anche le braccia dell’angelo sono poste a forma di croce, a dire che la Redenzione era già implicitamente prevista nell’opera della creazione (Figura 3).
Questa prima Parola si coniuga con la prima parola del Decalogo: Io sono il Signore tuo Dio, non avrai altro Dio all’infuori di me. L’uomo cioè non deve indagare nell’occulto alla ricerca di un “divino” diverso da quello che si esprime nella luce della Creazione-Redenzione, perché Egli solo è. Gli idoli e l’occulto in generale sono la negazione dell’essere e, dunque, l’inferno.